Come donne in nero di Padova desideriamo condividere informazioni e riflessioni intorno alla guerra.

Crediamo che la guerra mostri oggi la sua totale crudeltà e inutilità.

31 marzo 2011

2 Aprile Giornata di mobilitazione contro la guerra

2 Aprile - Giornata di mobilitazione nazionale
Appello Coordinamento 2 aprile
Le persone, le organizzazioni e le associazioni che in questi giorni hanno sentito la necessità,attraverso appelli, prese di posizioni e promozione di iniziative, di levare la propria voce
Contro la guerra e la cultura della guerra
Per sostenere le rivoluzioni e le lotte per la libertà e la democrazia dei popoli mediterranei e dei paesi arabi
Per l'accoglienza e la protezione dei profughi e dei migranti
Contro le dittature, i regimi, le occupazioni militari, le repressioni in corso,
Per il disarmo, un'economia ed una società giusta e sostenibile
Chiedono lo stop ai bombardamenti e il cessate il fuoco in Libia
per fermare la guerra, la repressione ed aprire la strada a una soluzione politica coerentemente democratica.
IL 2 APRILE 2011 SARÀ UNA GRANDE GIORNATA DI MOBILITAZIONE E PARTECIPAZIONE ATTIVA
A ROMA E IN TANTE PIAZZE D'ITALIA.
A partire da quella data ci impegniamo a dar vita ad un percorso diffuso sul territorio di mobilitazioni, iniziative, informazione, assemblee,
incontri e solidarietà con i movimenti dei paesi arabi.
Coordinamento 2 aprile
Prime adesioni:
Arci, Action, Associazione Ya Basta Italia, Associazione per il rinnovamento della sinistra, Associazione per la pace, A Sud, Attac Italia, Atene in Rivolta, Comitato Fiorentino Fermiamo la guerra, Cobas, Democrazia Chilometro Zero, Emergency, Esc, FIOM–CGIL, Gruppo Abele, Horus Project, Lega diritti dei Popoli, Legambiente, Libera, Lunaria, Mediterranea, Rete@Sinistra, Rete della Conoscenza, Rete Romana Solidarietà al Popolo Palestinese, Rete Studenti Medi, Sinistra Euromediterranea, Strike-Yo Migro, UDU, Un ponte per, FedS, FGCI, GC, PCdL, PdCI, Prc, Sinistra Critica, SeL.
Roma, 26 marzo 2012

VICENZA 2 Aprile Piazza Bologna ore 14

La mobilitazione a VICENZA è particolarmente significativa per il suo carattere di città militarizzata, (oggi sede dell’Africom e della Gendarmeria europea), un destino al quale non ci rassegniamo e continuiamo a rivendicare la riconversione delle servitù militari a fini civili, cominciando dalla consegna alla città della zona est del Dal Molin per trasformarla in “parco della pace”.
Gruppo Emergency Vicenza, Coordinamento dei comitati cittadini, Presidio No Dal Molin, Donne in rete per la pace, Presenza Longare, Saalam ragazzi dell’olivo, Rete Disarmiamoli nodo di Vicenza, Cristiani per la pace, Collettivo studenti scuola pubblica, Rete degli studenti medi, Assemblea difesa scuola pubblica,Coordinamento Studentesco, Bocciodromo Vicenza, Ass. Ya Basta! Vicenza, Coordinamento stranieri Vicenza,Cgil Vicenza, Unione Sindacale di Base-Vicenza, CUB scuola-Vicenza ,"Vicenza Libera - No Dal Molin", Gruppo consiliare a Recoaro Terme "Alternativa Democratica-Prc e Indipendenti", Sinistra Ecologia e libertà- Vicenza, Fabbrica di Nichi- Vicenza, PdCI-FdS Vicenza, Giovani comnunisti/e-Vicenza, Partito della Rifondazione Comunista-Fds Veneto.
Vicenza, 28 marzo 2011

25 marzo 2011

Giornata di mobilitazione nazionale per sabato 2 Aprile a Roma

Emergency promuove un appello ai cittadini e alle associazioni per una giornata di mobilitazione nazionale sabato 2 Aprile 2011.

Ancora una volta i governanti hanno scelto la guerra. Gheddafi ha scelto la guerra contro i propri cittadini e i migranti che attraversano la Libia. E il nostro Paese ha scelto la guerra “contro Gheddafi”: ci viene presentata, ancora una volta, come umanitaria, inevitabile, necessaria.

Nessuna guerra può essere umanitaria. La guerra è sempre stata distruzione di pezzi di umanità, uccisione di nostri simili. Ogni “guerra umanitaria” è in realtà un crimine contro l’umanità.

Nessuna guerra è inevitabile. Le guerre appaiono a un certo punto inevitabili solo quando non si è fatto nulla per prevenirle.

Nessuna guerra è necessaria. La guerra è sempre una scelta, non una necessità. E’ la scelta criminale e assurda di uccidere, che esalta la violenza, la diffonde, la amplifica, che genera “cultura di guerra”.

“Questa é dunque la domanda che vi poniamo, chiara, terribile, alla quale non ci si può sottrarre: dobbiamo porre fine alla razza umana o deve l'umanità rinunciare alla guerra?

Dal Manifesto di Russell-Einstein, 1955

Perché l’utopia diventi progetto, dobbiamo innanzitutto imparare a pensare escludendo la guerra dal nostro orizzonte culturale e politico.

Il nostro “NO” alla pratica e alla cultura della guerra è un ripudio definitivo e irreversibile, è il primo passo per fare uscire la guerra dalla storia degli uomini.

“La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire”
Albert Einstein
Primi firmatari:

Gino Strada, Carlo Rubbia, Luigi Ciotti, Renzo Piano, Maurizio Landini, Massimiliano Fuksas.
Firma l'appello
Guarda chi ha firmato
Le associazioni possono aderire scrivendo a dueaprile@emergency.it
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Non in nostro nome

NON IN NOSTRO NOME
Tra uccidere e morire, c’è una terza via: vivere

L’ITALIA È UN PAESE IN GUERRA
Ultima GUERRA in ordine di tempo è la nostra partecipazione alle azioni belliche in LIBIA,
l’ennesima guerra “UMANITARIA”, giustificata con le argomentazioni di sempre: “liberare le donne
afghane”, “portare la democrazia”, “proteggere i civili”… , selezionando, però, i diritti umani a seconda degli obiettivi strategici e degli interessi in gioco.

LA GUERRA SI CONFERMA COME L’UNICA MANIERA SEGUITA E ANCHE SOLO IMMAGINATA PER
RISOLVERE I CONFLITTI, SENZA MINIMAMENTE CERCARE E PRATICARE ALTRE STRADE.
In Italia, come in molti altri paesi, si segue una POLITICA di RIARMO e l’unica economia fiorente è l’ECONOMIA DI GUERRA, da cui non ci si può aspettare altro che una risposta bellicistica ad ogni crisi: tutte le armi prodotte, vendute, sperimentate devono pur venire usate da qualche parte!
Mentre scuola, cultura, ricerca, sanità, Enti Locali, ambiente subiscono tagli feroci, in Italia il settore degli armamenti e delle spese militari non subisce mai alcuna riduzione: dal 2006 vi è stato un aumento delle spese militari del 28% e per il 2011 è previsto un ulteriore aumento dell’8,4%. A questo si aggiungono i
fondi per il Ministero dello Sviluppo destinati ai nuovi sistemi d’arma e 1,5 miliardi di euro per le missioni militari all’estero. Per un totale di 24,3 miliardi di euro. Tra i progetti finanziati c’è anche l’acquisto di 131
cacciabombardieri F35 al costo di 16 miliardi e quello di 10 fregate al costo di 5,6 miliardi di euro.
SERVE A QUALCOSA TUTTO QUESTO?

L’UNICA COSA CERTA CHE CI SENTIAMO DI AFFERMARE È CHE LE NUMEROSE GUERRE DEGLI
ULTIMI 20 ANNI NON HANNO RISOLTO ALCUN CONFLITTO, ANZI IN ALCUNI CASI HANNO
LASCIATO UNA SITUAZIONE PEGGIORE.
In Afghanistan dopo 10 anni di guerra, dopo la morte di oltre 40.000 civili a causa, principalmente, dei bombardamenti aerei, si devono dichiarare falliti tutti gli obiettivi inizialmente dichiarati: i talebani hanno
ripreso il controllo dei due terzi del paese, il conflitto si è esteso al Pakistan, i signori della guerra e dell’oppio comandano, la povertà colpisce ormai l’80% della popolazione, dilaga la corruzione, la vita delle donne è peggiorata al punto che i suicidi sono aumentati a livelli senza precedenti (donne fra i 18 e i 35 anni si
danno fuoco per sottrarsi alla violenza insopportabile del loro destino).
Ma ogni 6 mesi il nostro Parlamento rifinanzia con 65 milioni di euro al mese l’intervento militare, senza mai ridiscutere obiettivi raggiunti, successi e insuccessi.

Non è con la guerra che si porta la democrazia!
Non è con le bombe che si proteggono i civili!

Consapevoli che la violenza genera solo violenza chiediamo una soluzione negoziale e non armata della crisi libica
un cessate il fuoco immediato e rispettato da tutte le parti
accoglienza dignitosa per le popolazioni in fuga dalla povertà, dalle dittature e dalle guerre
il ritiro di tutte le truppe dall’Afghanistan

Donne in Nero
Padova, 30 marzo 2011

24 marzo 2011

appello per il ritiro delle truppe dall'Afghanistan

Lettera di presentazione dell’Appello per il ritiro delle truppe dall’Afghanistan


Come Donne in Nero della Rete italiana vi inviamo il testo di questo appello per il ritiro delle truppe dall’Afghanistan.

Abbiamo riflettuto e dibattuto a lungo per l’elaborazione e la diffusione di questo appello, data la debolezza e la frammentazione del movimento pacifista in Italia , a seguito dell’imporsi della teoria della lotta al terrorismo,della guerra umanitaria e dell’esportazione della democrazia che ci ha portato di fatto ormai a 10 anni di guerra in Afghanistan.
Abbiamo riflettuto anche sulle spese militari e sulle conseguenze di questo inutile e enorme dispendio di risorse per il nostro paese a fronte dei tagli alle spese sociali.
Abbiamo steso questo documento nella prima decade di marzo, già con in animo la situazione nordafricana, da un lato pieno di speranza per le lotte popolari nonviolente per “libertà e giustizia” di popoli vicini a noi (Tunisia, Egitto), dall’altro preoccupato per le forme violente di repressione che hanno avuto il loro culmine in Libia e la degenerazione in lotta armata che ha avuto presto la rivolta in questo paese, con l’aggravante dell’intervento armato di alcuni paesi europei fra cui il nostro e USA.
Come era prevedibile “chi” ha forti interessi in quest’area nevralgica del mondo non ha perso tempo in pressioni diplomatiche, passando direttamente all’opzione militare in nome della difesa dei diritti umani.
Questo quadro ci fa presagire un’ escalation militare e chissà quante vittime civili per gli “effetti collaterali”.
Abbiamo già visto i risultati di questi interventi militari e le menzogne che ci sono state raccontate sull’Iraq, sui Balcani e sull’Afghanistan.
Noi consideriamo irresponsabile chi invece di aiutare a crescere forze democratiche e nonviolente nei vari paesi del mondo porta solo bombe.

Perciò riteniamo ancora più importante in questo momento fare sentire la voce forte e chiara del movimento contro la guerra in Italia che sappia contrastare la frenesia bellica generale, almeno con un richiamo alla realtà, alle verità occultate e alla giustizia.
Crediamo che questo appello sia ancora più drammaticamente attuale e che la tragica situazione in Afghanistan non debba essere oscurata.

Con questo appello ci proponiamo di avviare un percorso comune e condiviso, un impegno preciso per l’attuazione dei passi necessari al raggiungimento degli obiettivi proposti.

Chiediamo quindi non solo l’adesione all’appello, ma anche un incontro a tutte/i le/i destinatari.


Rete italiana delle Donne in Nero
Marzo 2011

appello per il ritiro delle truppe dall'Afghanistan

DONNE IN NERO

APPELLO DELLA RETE ITALIANA DELLE DONNE IN NERO PER IL RITIRO DELLE TRUPPE DALL’AFGHANISTAN

L’Italia è un paese in guerra
Non si combatte sul nostro territorio, ma è in atto il meccanismo della guerra con tutto ciò che questo comporta: aumento delle spese militari, militarizzazione del territorio e delle menti.
Il coinvolgimento dell’Italia nell’intervento militare in Afghanistan inizia alla fine del 2001con l’adesione alla missione ISAF col carattere di “assistenza alla sicurezza” e l’invio di 350 militari.
Avrebbe dovuto durare “almeno 6 mesi” e costare “qualche decina di miliardi di lire”.
Invece sono passati quasi 10 anni.
La missione di “peacekeeping “ è diventata missione di guerra, dalla guida Onu si è passati a quella della Nato con un colpo di mano nel 2003, dall’armamento leggero a quello di assalto, da “regole d’ingaggio leggere” a regole sempre più pesanti, dai 350 militari iniziali ai 1000 del 2003 fino ai 3900 del 2010 e ai 4200 di oggi.
Dall’inizio della missione il costo complessivo è stato di 3 miliardi e 100 milioni di euro, e continua al costo di 65 milioni di euro al mese.
Il rifinanziamento dell’intervento militare avviene ormai ogni sei mesi in modo bipartisan, con qualche eccezione, in violazione dell’art. 11 della Costituzione, senza mai ridiscutere in Parlamento gli obiettivi raggiunti. E’ successo anche nel febbraio scorso.
Solo per la missione in Afghanistan per i primi sei mesi del 2011 sono stati stanziati 410 milioni di euro (2,26 milioni al giorno), mentre sempre più striminzito è il finanziamento per i progetti di ricostruzione e assistenza (appena 16 milioni nel semestre).
A fronte dei tagli feroci a scuola, cultura, ricerca, sanità, Enti Locali, ambiente, in Italia vediamo il settore degli armamenti e delle spese militari non subire mai alcuna riduzione, al contrario di quanto avviene in altri paesi europei.
Dal 2006 in Italia vi è stato un aumento delle spese militari del 28% e per il 2011 è previsto un ulteriore aumento dell’8,4%. A questo si aggiungono i fondi per il Ministero dello Sviluppo, impropriamente destinati ai nuovi sistemi d’arma, ai quali si sommano 1,5 miliardi di euro per le missioni militari all’estero.
La cifra totale raggiunge quindi i 24,3 miliardi di euro. Tra i progetti finanziati c’è anche l’acquisto di 131 cacciabombardieri F35 al costo di 16 miliardi di euro e quello di dieci fregate al costo di 5,6 miliardi di euro.
La guerra in Afghanistan rientra nel concetto strategico della NATO,definito nel summit di Lisbona il 20 novembre del 2010, che consiste nell’inglobare sempre più paesi e nell’intervenire laddove i loro interessi vengano “minacciati”, esercitando così una forma di dominio del mondo e una continua minaccia per la pace.
Noi Donne in Nero siamo sempre state contro la guerra, perciò anche contro l’intervento militare in Afghanistan.

ALLA LUCE DELLA SITUAZIONE ATTUALE DENUNCIAMO IL FALLIMENTO DI TUTTI GLI OBIETTIVI INIZIALMENTE DICHIARATI: LOTTA AL TERRORISMO, PORTARE DEMOCRAZIA E SICUREZZA,
LIBERARE LE DONNE AFGHANE.





In realtà i talebani hanno ripreso il controllo dei due terzi del paese, Karzai è stato rieletto con i brogli, il conflitto si è esteso al Pakistan, i signori della guerra e dell’oppio comandano, la povertà colpisce ormai l’80% della popolazione, l’aumento della produzione di oppio è arrivato ormai al 93% di tutto quello prodotto nel mondo, dilaga la corruzione, la vita delle donne è peggiorata al punto che i suicidi sono aumentati a livelli senza precedenti (donne fra i 18 e i 35 anni si danno fuoco per sottrarsi alla violenza insopportabile del loro destino).
Il governo Karzai ha reintrodotto il “Ministero per i Vizi e le Virtù” e ha firmato una legge secondo la quale le donne sciite non possono rifiutare il rapporto sessuale con il marito, non possono andare a scuola, dal medico, al lavoro senza accompagnamento maschile.
Ora sta emanando una legge che mette sotto diretto controllo governativo le case-rifugio per donne maltrattate, finora gestite da ONG afghane. Per rivolgersi ai rifugi le donne dovranno essere accompagnate da un parente maschio e riconsegnate alle famiglie che le richiedano.
Se continuano ad avvenire scambi politici così gravi sul corpo e la vita delle donne è responsabilità anche dei “paesi liberatori” fra cui l’Italia, che fin dall’inizio aveva assunto l’impegno di ricostruire il sistema giudiziario afghano e, se questi sono i risultati, deve rendere conto dei milioni investiti.
Noi Donne in Nero in questi anni abbiamo intrecciato relazioni con Associazioni di donne afghane
(RAWA, HAWCA, OPAWC) che sono state una fonte preziosa di testimonianze e ci hanno fatto conoscere la coraggiosa capacità di resistenza non armata delle donne e della popolazione afghana.
Queste donne e le variegate voci della società civile costituiscono la resistenza democratica e nonviolenta del popolo afghano e chiedono il nostro sostegno per ottenere la fine dell’occupazione militare, che significherebbe per loro come prima cosa la fine dei bombardamenti aerei, principali (anche se non unici) responsabili della morte di oltre 40.000 civili dall’inizio della guerra.
Non c’è pace senza giustizia.
CHIEDIAMO CHE VENGANO PROCESSATI I CRIMINALI E I SIGNORI DELLA GUERRA PRESENTI NEL GOVERNO E NEL PAESE

CHIEDIAMO A TUTTI I SOGGETTI DEL MONDO FEMMINISTA, PACIFISTA E NONVIOLENTO DI UNIRCI E INDIVIDUARE INSIEME PRATICHE, STRUMENTI E FORME DI OPPOSIZIONE PER

RITIRARE TUTTE LE TRUPPE DALL’AFGHANISTAN
NON LASCIARE CHE L’AFGHANISTAN DIVENTI L’ENNESIMA GRANDE BASE MILITARE NATO
SOSTENERE LE FORZE CIVILI DEMOCRATICHE A PARTIRE DALLE DONNE
FAVORIRE LA RICOSTRUZIONE DEL PAESE FUORI DALLE LOGICHE MILITARI

Marzo 2011




I dati riportati nel presente appello sono tratti da organi di stampa e principalmente dai seguenti siti:

http://donneinnero.blogspot.com/
http://pz.rawa.org/it/index.htm
http://www.osservatorioafghanistan.org/
http://www.assopace.org/
http://www.sbilanciamoci.org/
http://it.peacereporter.net/
http://www.disarmo.org/
http://www.peacelink.it/

21 marzo 2011

Facciamo la guerra

Siamo stordite, gli eventi bellici si impongono senza che si riesca a fare niente. Siamo difronte a una ripetizione di cose già viste,se si chiudono gli occhi talvolta non si sa in che anno siamo. Tutto il potere maschile che occupa e gestisce gli organi di comando internazionali e nazionali(con la presenza di qualche donna asservita alla logica maschilista)è incapace di soluzioni che vadano al di là dell'uso della forza e della prepotenza e di prevedere le conseguenze delle loro azioni. Siamo nelle mani di uomini ottusi, incapaci di immaginare qualcosaltro,se non in malafede. In questo mese difronte alla tragedia del Giappone e ai conflitti interni ai paesi arabi si è usata la tracotanza di chi vuole tenere tutto sotto controllo e non ammette di dover apettare e ascoltare con attenzione ciò che succede, si è usata la prepotenza di chi vuole approffittare della situazione per trarne vantaggi. Di pensieri e azioni rivolti all'umanità che soffre non se ne vedono, vediamo solo le guerre umanitarie. E' all'opera ignoranza, prepotenza, disinformazione, falsificazione, violenza. C'è di che aver paura per tutti/e.
Per poco che sia, possiamo ancora dire e far sentire "non in nostro nome"

16 marzo 2011

Per riflettere

Le ultime righe dal libro di Elena Pulcini:"La cura del mondo"

... Vivere in un mondo plurale significa identificare e saper gestire il pathos che lo attraversa, nella consapevolezza del fatto che esso è esposto alla precarietà e alla costante posssibilità della distruzione; che il mondo è,per dirla con Arendt,irrimediabilmente
fragile. Il mondo è fragile...sia come mondo comune,pianeta, dimora dell'umanità e della vita esposto ai rischi globali prodotti dall'individualismo illimitato;sia come mondo delle relazioni,esposto al rischio della violenza prodotto dal comunitarismo endogamico.
Riporre fiducia nella vulnerabilità quale condizione per una nuova creazione del mondo,e nella contaminazione quale condizione per la creazione di un mondo plurale, significa riconoscere questa fragilità; così da trarre da questo riconoscimento l'impulso a prendere in cura il mondo, per dare avvio a un "nuovo inizio", all'apertura di inediti orizzonti di possibilità; e per consegnare alle future generazioni un mondo sensato.

15 marzo 2011

Incontro all'Aquila il 7 -8 Maggio

2_0 Programma - Il programma delle due giornate di maggio “si fa da sé”, da chi aderisce arrivano stimoli che risuonano dentro i progetti che stavamo già elaborando. Il programma di massima resta quello che trovate sul sito
www.laquiladonne.com (percorso da “Chi siamo”).

Sabato 7 maggio ore 12- 17 Visite a “L’Aquila com’è” (su prenotazione). Durata: circa un’ora.
Ore 16- 19: Nelle nostre stanze. Dalle ore 20 tutte in P.zza Duomo Incontri saluti cena e festa, con spettacoli.
Domenica 8 maggio ore 10,30 -13,30: Nelle nostre stanze. (Su prenotazione, altre visite a L’Aquila com’è).
Ore14: pranzo e incontro finale in piazza Duomo.

2_1 Le stanze, i gruppi – Nonostante L’Aquila sia ancora una città in emergenza – abbiamo camminato e abbiamo trovato le “stanze” in cui si svolgeranno i nostri gruppi di lavoro, in un percorso che va dalla Villa Comunale (Grand Hotel) alla Fontana Luminosa (Hotel Castello), quindi facile da trovare, con luoghi di ristoro con i quali abbiamo concordato buona accoglienza per voi (vedi mappa allegata).
§ Lo studio-biblioteca accoglierà “donne in resistenza”, ci saranno più tavoli di lavoro intorno al tema della violenza, della militarizzazione di molti luoghi del
nostro paese (come è accaduto a L’Aquila), su un’interrogazione forte: perché, in quanto donne, ci sentiamo così impegnate nei territori? E come possiamo fare rete e rafforzarla fra di noi?
§§ La camera da letto accoglierà “corpi violati, corpi desideranti” e sarà perciò doppia: nel primo gruppo, lavoreremo sulla espropriazione dei corpi (compresi i corpi costretti alle emigrazioni, all’esilio); nel secondo, ci chiederemo come recuperare il desiderio e il piacere.
§§§ In soggiorno , il tema sarà “Sicurezza, legalità, mercato”, suddiviso in tre gruppi: la “legalità dellevittime” (con il lavoro sociale e giuridico dei comitati delle famiglie coinvolte in grandi disastri); “ricostruire nella legalità”; “i beni comuni” (a rischio di privatizzazione, a partire dall’acqua).
§§§§ La cucina ospiterà “ricette per vivere bene”, con Laboratori creativi e il gruppo che lavorerà sulla “cultura come antidoto al mercantilismo”.
§§§§§ Nel giardino , infine, “Terra, terre”: produzione e consumo sostenibile (primo gruppo); “lo spazio pubblico della comunicazione” (comprese le “scritture aquilane come semi di ricostruzione”), nel secondo gruppo. Il lavoro di tutte le stanze sarà aperto da “gocce di creatività”, performances letture o esperienze. Abbiamo considerato che alcuni temi saranno presenti in tutte le stanze: primo fra tutti il tema del lavoro, o il tema della ricostruzione personale e sociale dopo un’esperienza come quella aquilana. Chiediamo perciò un’attenzione particolare alle donne che si occupano di questi temi apparentemente“sommersi”, perché possano emergere adeguatamente.
2_2 Fate attenzione - Le nostre stanze non sono molto grandi, dovete prenotare - entro il 15 aprile - il gruppo nel quale volete stare, scrivete a laquiladonne@gmail.com (chiediamo alle associazioni di designare chi le
rappresenti nei vari gruppi, e ci terremo in contatto, via via, per la migliore e più larga partecipazione).
2_3 Parole e gesti di donna - L’Aquila è ancora una città imprigionata da mille transenne di gelido acciaio: chiudono i vicoli, gli accessi, i giardini e ricordano alle aquilane e agli aquilani che nessno/a è libero di circolare
nel centro storico. Ci hanno suggerito – in un recente incontro che abbiamo fatto – di buttarle giù…noi invece vorremmo che il 7 e 8 maggio fossero tappezzate di volti e storie di donne, di manifesti, di volantini, di materiali che visivamente la facciano abitare dalle parole delle donne. Avete dei materiali? Li potete/volete portare con voi? Vi aiuteremo a collocarli sulle transenne (è molto facile, hanno tanti appigli…), l’importante è che ci facciate sapere se e cosa porterete, per organizzare dei percorsi visivi…altrimenti, non fa niente: li appenderete/remo lo stesso! Stessa richiesta a chi di voi ha proposto un intervento artistico o spettacolare: vi preghiamo di mandarci tutti i particolari (e l’indicazione delle vostre esigenze logistiche per la loro realizzazione), in modo che possiamo fare una scaletta.
2_4 Sosteniamo la Casa delle donne - Partiamo dai 309 morti del 6 aprile del 2009 e dalla distruzione per la riCostruzione di una nostra Casa, il luogo da cui continuare il lavoro e le relazioni dal 9 maggio 2011. Chi vuole sostenere le giornate del maggio e il nostro progetto può farlo adesso inviando un bonifico a: Associazione Biblioteca delle Donne Melusine – via A.De Gasperi 45 67100 L’Aquila, conto presso la Banca Popolare 2 Etica, IT10C0501803200000000136356. Infine, se conoscete donne che possano sponsorizzare la nostra iniziativa con
delle loro aziende, ce le fate conoscere?
2_5 Il nome della Casa – LaquilaDonna, DonneDiMaggio, CasaMutata? Come chiamare la nostra Casa?
Sul numero 85 di Leggendaria (www.leggendaria.it) Serenella Ottaviano racconta questo luogo da costruire a L’Aquila per le donne, per tutte le donne che lo vorranno abitare. Scrivete il nome che preferite a laquiladonne@gmail.com.
dove ci trovate next: il 17 marzo alle 11 in piazza della Fontana Luminosa per
abbracciare simbolicamente la nostra Casa

14 marzo 2011

appello della rete italiana delle donne in nero per il ritiro delle truppe militari dall’ Afghanistan.

DONNE IN NERO

L’Italia è un paese in guerra

Non si combatte sul nostro territorio, ma è in atto il meccanismo della guerra con tutto ciò che questo comporta: aumento delle spese militari, militarizzazione del territorio e delle menti.
Il coinvolgimento dell’Italia nell’intervento militare in Afghanistan inizia alla fine del 2001con l’adesione alla missione ISAF col carattere di “assistenza alla sicurezza” e l’invio di 350 militari.
Avrebbe dovuto durare “almeno 6 mesi” e costare “qualche decina di miliardi di lire”.
Invece sono passati quasi 10 anni.
La missione di “peacekeeping “ è diventata missione di guerra, dalla guida Onu si è passati a quella della Nato con un colpo di mano nel 2003, dall’armamento leggero a quello di assalto, da “regole d’ingaggio leggere” a regole sempre più pesanti, dai 350 militari iniziali ai 1000 del 2003 fino ai 3900 del 2010 e ai 4200 di oggi.
Dall’inizio della missione il costo complessivo è stato di 3 miliardi e 100 milioni di euro, e continua al costo di 65 milioni di euro al mese.
Il rifinanziamento dell’intervento militare avviene ormai ogni sei mesi in modo bipartisan, con qualche eccezione, in violazione dell’art. 11 della Costituzione.
Tutto questo senza mai ridiscutere in Parlamento obiettivi raggiunti, successi e insuccessi.
E’ successo anche nel febbraio scorso.
Solo per la missione in Afghanistan per i primi sei mesi del 2011 sono stati stanziati 410 milioni di euro (2,26 milioni al giorno), mentre sempre più striminzito è il finanziamento per i progetti di ricostruzione e assistenza (appena 16 milioni nel semestre).
A fronte dei tagli feroci a scuola, cultura, ricerca, sanità, Enti Locali, ambiente, in Italia vediamo il settore degli armamenti e delle spese militari non subire mai alcuna riduzione, al contrario di quanto avviene in altri paesi europei.
Dal 2006 in Italia vi è stato un aumento delle spese militari del 28% e per il 2011 è previsto un ulteriore aumento dell’8,4%. A questo si aggiungono i fondi per il Ministero dello Sviluppo, ma destinato ai nuovi sistemi d’arma, ai quali si sommano 1,5 miliardi di euro per le missioni militari all’estero.
La cifra totale raggiunge quindi i 24,3 miliardi di euro. Tra i progetti finanziati c’è anche l’acquisto di 131 cacciabombardieri F35 al costo di 16 miliardi di euro e quello di dieci fregate al costo di 5,6 miliardi di euro.
La guerra in Afghanistan rientra nel concetto strategico della NATO,definito nel summit di Lisbona il 20 novembre del 2010, che consiste nell’inglobare sempre più paesi membri e nell’intervenire laddove i loro interessi vengano “minacciati”, esercitando così una forma di dominio del mondo e una continua minaccia per la pace.
Noi Donne in Nero siamo sempre state contro la guerra, perciò anche contro l’intervento militare in Afghanistan.

OGGI DENUNCIAMO IL FALLIMENTO DI TUTTI GLI OBIETTIVI INIZIALMENTE DICHIARATI:
LOTTA AL TERRORISMO, PORTARE DEMOCRAZIA E SICUREZZA,
LIBERARE LE DONNE AFGHANE.

La realtà è ben diversa: i talebani hanno ripreso il controllo dei due terzi del paese, Karzai è stato rieletto con i brogli, il conflitto si è esteso al Pakistan, i signori della guerra e dell’oppio comandano, la povertà colpisce ormai l’80% della popolazione, l’aumento della produzione di oppio è arrivato ormai al 93% di tutto quello prodotto nel mondo, dilaga la corruzione, la vita delle donne è peggiorata al punto che i suicidi sono aumentati a livelli senza precedenti (donne fra i 18 e i 35 anni si danno fuoco per sottrarsi alla violenza insopportabile del loro destino).
Il governo Karzai ha reintrodotto il “Ministero per i Vizi e le Virtù” e ha firmato una legge secondo la quale le donne sciite non possono rifiutare il rapporto sessuale con il marito, non possono andare a scuola, dal medico, al lavoro senza accompagnamento maschile.

Ora sta emanando una legge che mette sotto diretto controllo governativo le case-rifugio per donne maltrattate, finora gestite da ONG afghane. Per rivolgersi ai rifugi le donne dovranno essere accompagnate da un parente maschio e riconsegnate alle famiglie che le richiedano.

Se continuano ad avvenire scambi politici così gravi sul corpo e la vita delle donne è responsabilità anche dei “paesi liberatori” fra cui l’Italia, che fin dall’inizio aveva assunto l’impegno di ricostruire il sistema giudiziario afghano e, se questi sono i risultati, deve rendere conto dei milioni investiti.
Noi Donne in Nero in questi anni abbiamo intrecciato relazioni con Associazioni di donne afghane
(RAWA, HAWCA, OPAWC) che sono state una fonte preziosa di testimonianze e ci hanno fatto conoscere la coraggiosa capacità di resistenza non armata delle donne e della popolazione afghana.
Queste donne e le variegate voci della società civile costituiscono la resistenza democratica e nonviolenta del popolo afghano e chiedono il nostro sostegno per ottenere la fine dell’occupazione militare, che significherebbe per loro come prima cosa la fine dei bombardamenti aerei, principali (anche se non unici) responsabili della morte di oltre 40.000 civili dall’inizio della guerra.

CHIEDIAMO A TUTTI I SOGGETTI DEL MONDO FEMMINISTA, PACIFISTA E NONVIOLENTO DI UNIRCI E INDIVIDUARE INSIEME PRATICHE, STRUMENTI E FORME DI OPPOSIZIONE PER
RITIRARE TUTTE LE TRUPPE DALL’AFGHANISTAN
NON LASCIARE CHE L’AFGHANISTAN DIVENTI L’ENNESIMA GRANDE BASE MILITARE NATO
SOSTENERE LE FORZE CIVILI DEMOCRATICHE A PARTIRE DALLE DONNE
FAVORIRE LA RICOSTRUZIONE DEL PAESE FUORI DALLE LOGICHE MILITARI

Marzo 2011

Occorre tagliare la spesa militare , non partecipando a questa guerra e alle altre spacciate per missioni umanitarie e investire le risorse risparmiate nelle vere aree di interesse “strategico”. scuola pubblica, università e ricerca.

I dati riportati nel presente appello sono tratti da organi di stampa e principalmente dai seguenti siti:
http://donneinnero.blogspot.com/ http://pz.rawa.org/it/index.htm
http://www.osservatorioafghanistan.org/ http://www.assopace.org/
http://www.sbilanciamoci.org/ http://it.peacereporter.net/
http://www.disarmo.org/ http://www.peacelink.it/

04 marzo 2011

Dalla parte giusta

MEDITERRANEO: DALLA PARTE GIUSTA



Con i giovani dei gelsomini - Sostenere la società civile del mondo arabo

Proteggere e accogliere i profughi - No all’intervento militare



CAMPAGNA DI RACCOLTA FONDI PER LE ORGANIZZAZIONI SOCIALI TUNISINE

CHE STANNO ACCOGLIENDO I PROFUGHI DALLA LIBIA



Il vento di cambiamento che soffia sul Mediterraneo porta con sé tante speranze ma anche molti rischi. Una intera generazione di giovani sta provando a caro prezzo a riprendere in mano il proprio futuro, a scrivere una nuova storia per il proprio paese e per il mondo intero, in mezzo a mille difficoltà. A quei giovani e quei popoli va offerto un sostegno concreto, adesso.

Noi vogliamo farlo, intanto aiutando la società civile tunisina a garantire accoglienza e assistenza alle decine di migliaia di profughi in fuga dalla Libia. Lo stanno già facendo, con pochi mezzi e tanta solidarietà.

Sostenere la società civile democratica dei Paesi che si affacciano sulla sponda sud del Mediterraneo è condizione essenziale per aiutare il processo di democratizzazione. Basta con gli interventi umanitari interessati, che si traducono in militarizzazione, neo-colonialismo e sfruttamento delle risorse locali.

I nord africani, i rifugiati africani, i libici che fuggono dalle violenze di Gheddafi vanno protetti e aiutati, sia nelle aree di origine che in Europa, lasciando aperte le frontiere - come ha chiesto l’UNHCR - e riconoscendo loro, in Italia e nei paesi dell’Ue, il diritto alla protezione temporanea.

Le politiche di rapina e di chiusura delle frontiere dell’occidente hanno prodotto povertà, sfruttamento e aiutato per decenni la repressione di qualsiasi forma di organizzazione sociale. Hanno contribuito a rafforzare regimi autoritari, consentendo il concentramento in poche mani di ricchezze e potere. Questa situazione può essere ribaltata, aprendo le frontiere e riconsegnando ai popoli arabi le proprie risorse attraverso il sostegno alla società civile.

Il riconoscimento del diritto a partire e del diritto a restare sono le due facce della stessa medaglia, è ciò che consente l’affermarsi di un reale processo di democratizzazione. Il ruolo delle istituzioni europee e dei governi è fondamentale. L’appoggio dato per anni ai dittatori impone oggi un’assunzione piena di responsabilità. Ma siamo anche convinti che ognuno di noi, per quel che gli compete, possa contribuire a scrivere una nuova pagina di storia in quell’area del mondo.

Per questo promuoviamo una raccolta fondi a sostegno dei profughi in fuga dalla Libia, fondi che consegneremo alle organizzazioni di base tunisine che sono presenti nelle zone di crisi e stanno già operando per l’accoglienza di decine di migliaia di persone.

Servono risorse per l’acquisto di tende e cibo sul posto, per evitare che la solidarietà si trasformi in arricchimento per qualcuno e in nuove forme di accaparramento dei territori.

La crisi in Libia non deve essere utilizzata per conquistare posizioni di potere nell’area. Non è tollerabile che ancora una volta una emergenza umanitaria sia utilizzata per garantire gli interessi economici, militari e strategici dei paesi ricchi.

Sostenere la società civile tunisina, accogliere e proteggere i profughi, aiutare la democratizzazione del Maghreb. Ciascuno di noi può fare la sua parte, dalla parte giusta.

Si può sottoscrivere sul conto corrente aperto presso Banca Etica intestato a

Associazione Arci – Il mediterraneo dei gelsomini. Iban IT06V0501803200000000136632

Per informazioni e versamenti chiamare anche il numero verde 800999977



ARCI

03 marzo 2011

Se non ora quando: 8 Marzo con le donne afghane in piazza dei Signori dalle 17,30 alle 19,30

8 marzo con le donne afgane

Come vivono le donne afgane dopo 10 anni di una guerra dichiarata per portare la democrazia e migliorare la condizione delle donne


Il governo Karzai, dopo aver reintrodotto il tristemente noto “Ministero per il Vizio e Virtù”, dopo aver firmato una legge secondo la quale le donne non possono rifiutarsi di avere rapporti sessuali con il marito e non possono recarsi al lavoro, dal medico o a scuola senza il suo permesso, sta ora emanando una legge secondo la quale:

le case rifugio per donne maltrattate passeranno dalla gestione delle ong afghane al controllo del Ministero degli Affari Femminili;
alcuni rifugi verranno chiusi;
per andare ai rifugi le donne dovranno essere accompagnate da un parente maschio o dal marito;
all’interno dei rifugi l’insegnamento della religione islamica sarà obbligatorio;
le donne accolte nei rifugi saranno obbligate e sottoporsi a costanti “esami medici” per il monitoraggio della loro attività sessuale;
lo staff del rifugio dovrà consegnare la donna alla famiglia che ne richieda il ritorno a casa per qualsiasi motivo.

Già da tempo i rifugi delle donne maltrattate erano oggetti di minacce. Per esempio, una ragazza dodicenne della regione di Herat ha chiesto di essere accolta in un rifugio, ma il governo, su pressione di un parlamentare, ha fatto restituire la ragazza alla famiglia che l’ha poi uccisa e fatta a pezzi; a Takhar una donna grida inutilmente per chiedere giustizia nei confronti del nipote di un parlamentare che ha rapito, tenuto sequestrata e poi ucciso sua figlia e questo per il governo afghano è considerato normale.
Ora i rifugi delle donne maltrattate dovrebbero passare sotto il controllo diretto del governo, uno dei più corrotti al mondo! Ed è proprio sul corpo delle donne che il governo Karzai intende realizzare mediazioni con fondamentalisti e talebani.


E di tutto ciò anche l’Italia ha diretta responsabilità. Oltre a partecipare da 10 anni a una guerra che ha portato con i bombardamenti la morte di circa 40.000 civili, l’Italia in Afghanistan ha il compito specifico di riorganizzare la giustizia, progetto in cui tra il 2001 e il 2011 ha investito centinaia di milioni di euro. Il governo italiano e le forze politiche che hanno sostenuto e ancora sostengono l’intervento militare in Afghanistan dovranno spiegare in che modo sono stati investiti i fondi per la ricostruzione del sistema giudiziario afghano, giacché negli ultimi anni sono state varate leggi che penalizzano pesantemente i diritti umani e, in particolare, i diritti delle donne afghane.


Oggi 8 marzo esprimiamo la nostra vicinanza a Zoya, a Mehooda, a Malalai Ioya, a tutte le altre attiviste afghane per i diritti delle donne e a tutte le donne afghane.
Insieme a loro chiediamo la fine dell’occupazione e il ritiro di tutte le truppe straniere.


Donne in Nero
Padova 8 marzo 2011

http://controlaguerra.blogspot.com

Schede sui film

Rachel, non ti dimenticheremo



RACHEL
La vera storia di Rachel Corrie, una ragazza americana con sangue palestinese
un film di Simone Bitton
Francia/Belgio, 2008, 100'
www.cineagenzia.it/rachel

L’autrice di Il muro, la franco-israeliana Simone Bitton, torna nei territori occupati con un’inchiesta sulla morte di Rachel Corrie, la 23enne pacifista americana uccisa da un bulldozer dell’esercito israeliano nel marzo 2003, mentre stava tentando di bloccare la demolizione di una casa palestinese nella Striscia di Gaza. Come molti giovani, anche Rachel teneva un diario, dove raccoglieva una puntuale cronaca delle sue giornate e le sconvolgenti impressioni della realtà con cui veniva a contatto, per condividere la sua esperienza con i familiari e gli amici rimasti nella sua Olympia, nello stato di Washington.
Simone Bitton ricostruisce i drammatici fatti di quel giorno, mostrando per la prima volta le foto scattate dagli altri attivisti del gruppo di Rachel e i filmati delle telecamere di sorveglianza, e dando la parola a tutti i protagonisti del tragico evento, nel tentativo di far scaturire la verità da versioni contraddittorie tra loro. Verità o menzogna? Dichiarazioni sincere o pura propaganda?
Il documentario non è solo un tentativo di individuare i responsabili, problema che la polizia militare israeliana ha liquidato in fretta e rispetto al quale il governo americano non ha mai preteso chiarimenti, ma anche una commovente riflessione sulla giovinezza e l’idealismo.

“Rachel Corrie è morta a 23 anni e io ne ho 53, così, piuttosto semplicemente, compiango la mia giovinezza. In lei ho probabilmente visto allo stesso tempo la ragazza che sono stata e la figlia che avrei voluto avere. Mentre lavoravo al film, costantemente mi chiedevo: se non fosse morta, avrebbe perso la sua innocenza, la sua purezza? Sarebbe stata contaminata dal “pragmatismo” e dal “realismo”? Sarebbe, in parole povere, scesa a compromessi? Se non fosse morta, sarebbe comunque in qualche altro modo scomparsa? Ho realizzato il film a partire da questa idea. Da questo sentimento di profonda intimità, di vicinanza con questa ragazza che venne da lontano per morire su quella terra maledetta, di cui non smetto, film dopo film, di raccontare la sventura e la bellezza.” (Simone Bitton)







Maria piena di grazia
un film di Joshua Marston
Colombia, Ecuador, USA, 2003, 101’
Premiato in molti festival (Berlinale, Sundance, Seattle, Deauville)
www.mariafullofgrace.com

Maria è una giovane ragazza colombiana che lavora in una fabbrica che confeziona rose. Dotata di un carattere volitivo decide di non sottostare ai soprusi sul posto di lavoro e cerca un modo per guadagnare avendo anche scoperto di essere incinta e volendo tenere il bambino. Finisce così con l`accettare di esportare droga negli Stati Uniti trasportandola nel proprio stomaco. L´impresa ha un esito complesso perché a una delle due ragazze che viaggiano con lei esplode un contenitore nello stomaco e viene uccisa e sventrata per asportare la droga rimasta. Maria dovrà decidere che fare della vita sua e del nascituro.
Film didascalico se si vuole ma efficace nel mostrare un percorso purtroppo reale utilizzando una giovane attrice il cui volto davvero giustifica il titolo. Che non vuole essere provocatorio nonostante il contenuto. Perché ci vuole ricordare quanto sia difficile (e Maria ci riesce) conservare la grazia interiore in un mondo che sta facendo di tutto una merce.

“Non è soltanto un film di denuncia, un resoconto in cadenze di realismo giornalistico, peraltro efficace e dolorosamente coinvolgente… E’ una storia di formazione, un itinerario centrifugo di liberazione in cui la protagonista impara in che misura la libertà comporti sofferenza, perdita, spaesamento, distacco, solitudine…. La ‘grazia’, alla fine, pare proprio essere la disponibilità, a questa sofferta apertura al mondo.”
(da “Il Morandini 2011, dizionario dei film)

Racconti di vite di donne

Imparare dall'amore e dalla conoscenza del reale per rendere la vita più umana



Donne in Nero e CENTRO PANDORA con il patrocinio del Comune di Padova
ti invitano a
due serate al cinema in occasione della giornata internazionale della donna

9 marzo 2011 :
RACHEL. La vera storia di Rachel Corrie, una ragazza americana con sangue palestinese, un film di SIMONE BITTON – PRIMA VISIONE

10 marzo 2011 :
Maria piena di grazia, un film di Joshua Marston

Fornace Carotta, via Siracusa, ore 20.45



due storie diverse di giovani donne per aiutarci a riflettere e a capire che la vita è nelle nostre mani e possiamo renderla più umana.
Per don dimenticare chi, come Rachel Corrie, prima di essere sepolta viva da una ruspa israeliana scriveva: “Sto scoprendo una forza straordinaria e una straordinaria capacità elementare dell'essere umano di mantenersi umano anche nelle circostanze più terribili - anche di questo non avevo mai fatto esperienza in modo così forte..”
Per ricordare le tante Marie che lottano faticosamente per conservare la grazia interiore in un mondo che sta facendo di tutto una merce.
INGRESSO LIBERO

Donne in Nero: http://controlaguerra.blogspot.com/ Centro Pandora: http://centropandora.splinder.com/

02 marzo 2011

Iniziative di vari comuni sul femminicidio in Messico

5 MARZO 2011 : PADOVA CONTRO IL FEMMINICIDIO

Ciudad Juárez, Chihuahua, la città più violenta del Messico, una delle più violente del pianeta. Qui sono ancora le donne, le Madri che piangono le loro figlie, a chiedere giustizia. Nella totale impunità dal 1993 sono oltre 600 i casi di femminicidio, migliaia le scomparse e oltre 300 gli omicidi di donne nel solo 2010.


mai più femminicidio

Vogliamo essere al fianco di queste donne, rassicurarle come se fossero qui con noi, certi che la solidarietà internazionale può essere un formidabile strumento per proteggerle e un forte impulso affinché i responsabili dei femminicidi siano assicurati alla giustizia.

Per questo, aderendo alI’appello dei Comuni di Torino, Bologna, Ferrara, Firenze e Genova, che invitano le altre città italiane ad illuminare di rosa un loro monumento importante, il Comune di Padova illuminerà, la sera del 5 marzo, la Torre dell’Orologio.
Quando le Madri di Juárez ritrovano i poveri resti delle figlie piantano una croce rosa, queste sono diventate il simbolo mondiale della loro battaglia che, come hanno insegnato le Madri argentine di Plaza de Mayo, è un grido che non si spegne mai: Memoria, verità, giustizia.

Nello stesso giorno nella Sala della Fornace Carotta, in via Siracusa, alle 17.30, verrà proiettato il film di Alejandra Sanchez e José Antonio Cordero

Bajo Juarez
la città che divora le sue figlie


LA CITTADINANZA E’ INVITATA A PARTECIPARE