Come donne in nero di Padova desideriamo condividere informazioni e riflessioni intorno alla guerra.
Crediamo che la guerra mostri oggi la sua totale crudeltà e inutilità.
12 luglio 2010
Femminicidio
femminicidio.blogspot.com
09 luglio 2010
Riflessioni su Srebrenica
11 luglio
Hasan Nuhanović 9 luglio 2010
In occasione della giornata europea del ricordo delle vittime del genocidio di Srebrenica, pubblichiamo la storia di Hasan Nuhanović, interprete delle Nazioni Unite sopravvissuto alle stragi del luglio 1995
Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul settimanale bosniaco Dani il 18 giugno 2010
1.
Oggi ho identificato mio fratello grazie alle sue scarpe da ginnastica. Quest'autunno mi dissero di mia madre. La trovarono, o meglio quello che rimaneva di lei, in un ruscello nel villaggio di Jarovlje, a due chilometri da Vlasenica. I serbi che ci vivono hanno continuato a buttare per 14 anni l'immondizia su di lei. Non era sola. Ne ammazzarono altri 6 nello stesso posto. Gli avevano dato fuoco.
Dissi: spero li abbiano arsi da morti.
Quest'autunno andai anche in tribunale, a vedere Predrag Bastah Car.
A Vlasenica un serbo, a cui diedi 100 marchi tedeschi, mi disse che Car, dopo averli cosparsi di benzina, gli aveva dato fuoco. Non vi era gran che da vedere nell'aula dove lo stavano processando perché nel 1992 sgozzava le persone, era un rinsecchito rifiuto umano.
Probabilmente aveva aspettato tutta la vita di essere qualcuno. E l'occasione gli si presentò nel '92. Poi, fino alla caduta di Srebrenica, non vi erano più in circolazione musulmani da sgozzare. Dovette aspettare più di due anni quando finalmente carpì mia madre e alcuni altri. Un altro serbo, a cui allungai 300 marchi tedeschi, mi disse che il suo comandante lavora oggi qui, a Sarajevo.
Quest'anno mi sono preparato a seppellire mia madre vicino a mio padre. Lui lo identificarono 4 anni fa, a 11 anni dall'esecuzione. Dissero di aver trovato poco più della metà delle sue ossa. Il cranio frantumato sulla parte posteriore. Il dottore non era in grado di dirmi se glielo frantumarono dopo il decesso. Era nella fossa comune secondaria di Cancari 5, a Zvornicka Kamenica. Lì vi sono 13 fosse comuni con corpi che i cetnici, dalla fossa comune primaria vicino a Pilica, nella fattoria Branjevo, poco prima degli accordi di Dayton, ammassarono con i bulldozer, caricarono sui camion e portarono a una quarantina di chilometri di distanza per risseppellire. In tutto circa 1.500 corpi. Almeno così sostengono quelli del Tribunale. Ho letto la dichiarazione di uno dei boia: "Non riuscivo più a premere il grilletto, avevo l'indice informicolato da quanto avevo sparato. Andavo avanti ad ammazzarli per ore". Dichiarò inoltre che qualcuno aveva promesso loro 5 marchi per ogni musulmano ucciso quel giorno. Disse che costrinsero anche gli autisti a scendere e ammazzare almeno un paio di musulmani, in modo da assicurarsi il loro silenzio. Capito, poveri autisti!
Povero anche Erdemović, che dichiarò che dovette uccidere per non venire ucciso a sua volta. Tutti si trovarono costretti a farlo, dietro l'ordine esplicito di Mladić, unico colpevole. Appena lo cattureranno proclamerà, da vero eroe serbo: "Mi assumo io tutta la responsabilità per tutti i serbi e per tutto il popolo serbo. La colpa è solo mia, processate me, tutti gli altri lasciateli liberi." Solo allora noi musulmani, i serbi e tutti gli altri saremo contenti. Ci leveremo i pantaloni e ci abbracceremo. Non avremo bisogno di alcuna mediazione straniera.
L'anno scorso prepararono le lapidi in pietra, belle, bianche. Tutte uguali, perfettamente allineate. Vicino a mio padre due posti vuoti. Sono tre anni che aspetta che gli mettano vicino mia madre e suo figlio Muhamed.
Dissero di aver identificato mia madre. Mi preparai a seppellirla vicino a suo marito l'11 luglio 2010. Poi la telefonata... Dicono: "Il DNA combacia ma non siamo completamente sicuri." Dissero di andare a Tuzla. Così oggi sono andato.
2.
Nella primavera del '95 comprai a mio fratello delle scarpe da ginnastica nuove, Adidas, da uno che viveva all'estero. Le aveva portate da Belgrado ritornando a Srebrenica dalle vacanze. Non le aveva portate nemmeno due mesi quando successe. Gli avevo comprato anche un paio di jeans Levi's 501. Li aveva addosso. Ricordo esattamente quale maglia e quale camicia indossasse.
Il dottore mi ha mostrato oggi le foto dei vestiti. Non è rimasto molto – disse – ma abbiamo le scarpe da ginnastica. Mise la foto sul tavolo e vidi le scarpe, le Adidas di mio fratello, come se le avesse appena tolte. Non erano nemmeno slacciate.
Allora il dottore portò un sacco e rovesciò davanti a me sul cartone tutto quello che rimaneva degli effetti personali di mio fratello, le cose trovate sui suoi resti. Dopo 15 anni di attesa presi le sue scarpe da ginnastica in mano. Trovarono la cintura con la grande fibbia metallica e il resto dei jeans. Avevano anche entrambe le calze. Cercavo la ben nota etichetta Levi's, un indizio in più per aiutarci a confermare la sua identità. Presi in mano, i resti dei jeans. I bottoni metallici. Gli interni delle tasche. Le parti in cotone si erano sgretolate. Non c'erano più. Erano rimaste solo le parti sintetiche. Un'etichetta diversa, solo leggermente sporca, penzolava intera, aggrovigliata tra i fili e i resti. Cercando il contrassegno della Levi's lessi: Made in Portugal.
Tutto il giorno avevo davanti agli occhi quella scritta. Credo che l'avrò davanti per tutta la vita. Forse comincerò a odiare tutto quello che è Made in Portugal, come odio la birra Heineken che i soldati olandesi tracannavano nella base di Potočari, nemmeno un'ora dopo che avevano cacciato tutti i musulmani – dritti nelle mani dei cetnici. O forse comincerò ad amare tutto quello che reca la sigla Made in Portugal, visto che mi ricorderà per tutta la vita il mio fratello ucciso.
3.
Quella volta, a Potočari, si avvicinò a me un giovane soldato olandese, mi offrì una cassa di birra e le Marlboro. Scossi il capo. Lui alzò semplicemente le spalle e si allontanò.
Io invece, come tanti altri, ho continuato a pregare Dio per 15 anni di farmi la grazia di scoprire, una volta che la verità sarebbe venuta a galla, che non avevano sofferto molto, che non erano morti torturati.
Sono 15 anni che sono morti. Quell'anno nacquero dei bambini. Adesso hanno 15 anni; anzi alcuni festeggeranno proprio l'11 luglio il loro quindicesimo compleanno.
Non farò mai e in nessun modo niente che possa mettere a repentaglio il futuro di questi bambini. Non ci penso nemmeno, anzi confidiamo in Dio che questo non debba accadere mai più a nessuno. Solo ricordati, Amico, che non c'è amnistia. Per i boia non ci deve essere amnistia.
4.
Come accaduto già molte volte, anche ieri i giornalisti mi chiesero quale sarebbe il mio messaggio per le future generazioni. Io gli avevo raccontato come dopo Dayton passavo in macchina attraverso la Bosnia orientale cercando le tracce di persone scomparse, assassinate. Sapevo che vicino a Konjević Polje, Nova Kasaba, Glogova sulla strada per Srebrenica, ci sono le fosse comuni, che i prati ne sono pieni. Anche quando attraversavo questi luoghi nei giorni quando tutto fioriva, quando tutto sbocciava, io non ero in grado di vedere quella bellezza. Io vedevo solo le fosse che nascondevano quei prati. Sotto i fiori giacevano i nostri padri, fratelli, figli. Le loro ossa. Viaggiando attraverso i luoghi abitati dai serbi, li guardavo dalla finestra e pensavo: chi di loro è un assassino? Chi è un assassino?
Per anni non pensavo, non vedevo altro. Per anni interi. Poi, un giorno, sul prato che avevo sentito nascondere una fossa comune, vidi giocare una bambina. Avrà avuto 5, 6 anni. L'età di mia figlia. Sapevo che lì abitavano i serbi. Lei correva sul prato. Senti pervadermi un miscuglio di emozioni: tristezza, dolore, odio.
Poi un pensiero mi passò per la mente: quali colpe ha questa bambina? Lei non intuisce nemmeno cosa nasconde il prato, cosa si cela sotto i fiori. Provai pietà per quella povera bambina così somigliante a mia figlia. Potrebbero giocare insieme sul prato – pensai. Desiderai che quella bambina e mia figlia non debbano mai vivere quello che abbiamo vissuto noi. Mai. Loro meritano un futuro migliore. Questo dissi ai giornalisti di Belgrado.
Il dottor Kesetović mi confermò finalmente che per l'11 luglio saranno pronti i resti di mio fratello per la Dženaza, il funerale musulmano. Come se all'ultimo momento mio fratello avesse deciso di farsi seppellire assieme a mia madre, vicino a mio padre che li aspettava a Potočari. Così finalmente mio padre, assassinato a Pilica, esumato a Kamenica, mio fratello ucciso a Pilenica, esumato a Kamenica, e mia madre assassinata a Vlasenica, esumata dal ruscello sotto l'immondizia, riposeranno uno accanto all'altro a Potočari.
Iniziative Su Srebrenica
Il pilastro della vergogna
Azra Nuhefendić 8 luglio 2010
Un'iniziativa dal forte impatto simbolico. Con cui i promotori intendono denunciare il genocidio di Srebrenica e le responsabilità dell'Onu per quanto avvenuto. Il progetto "Pilastro della vergogna" intende ergere una scultura ricolma di scarpe in ricordo delle 8.372 vittime
In occasione del quindicesimo anniversario del genocidio di Srebrenica, è stato lanciato a Berlino il progetto "Pilastro della vergogna". Il progetto ha come obiettivo la costruzione di una scultura per ricordare le responsabilità di politici e militari occidentali in merito al genocidio di Srebrenica.
Si prevede la costruzione di due gigantesche lettere "U" e "N", riempite da 16.744 scarpe come simbolo delle 8.372 vittime del genocidio. La costruzione del "Pilastro della vergogna" impiegherà un anno e dovrebbe essere completata per l' 11 luglio 2011.
"La scultura è una metafora del colossale imbroglio compiuto dalle Nazioni Unite in Bosnia-Erzegovina, in particolare a Srebrenica, i cui misfatti non sono mai stati oggetto di discussione nel mondo", ha detto Philip Ruh (Philipp Ruch), direttore del "Centro per la Bellezza Politica" a Berlino, promotore del progetto "Pilastro della vergogna".
In una lettera mandata al segretario generale dell'ONU, Ban Ki-moon, Philipp Ruch, scrive: "Abbiamo deciso di sostenere le madri di Srebrenica accusandovi, ma non davanti a un giudice. Lo faremo tramite un'immagine che rappresenterà il fardello che dovete portarvi sulle spalle, e condanneremo ancora una volta il vostro abuso senza precedenti avvenuto in Bosnia Erzegovina a Srebrenica. Avete mischiato stupratori e assassini con le vittime e avete affermato che sono tutti colpevoli. Non continueremo ad assistere inermi ai vostri complotti", scrive senza mezzi termini Ruch.
Nella lettera, oltre ad accusare le Nazioni Unite di assoluta mancanza di rispetto nei confronti delle famiglie delle vittime del genocidio, dichiara che ogni anno le Nazioni Unite ignorano le richieste scritte di Hasan Nuhanović, uno dei sopravvissuti del genocidio, di esporre una bandiera a mezz'asta davanti al quartier generale dell'ONU a New York in data 11 luglio.
Philipp Ruch spiega come sia nata l'idea della scarpa: "Ho pensato a cos'è che tutti possiedono in casa. Tutti hanno scarpe e stivali e inoltre la scarpa è l'oggetto che più sopravvive ai cadaveri. Ho deciso quindi di utilizzare le scarpe per simboleggiare le vittime, unite nel monumento alla vergogna".
Le scarpe saranno esposte all'Aia, a Berlino, e poi al Centro Memoriale di Potocari, luogo di sepoltura delle vittime del genocidio. A Potocari ogni 11 luglio vengono sepolti i cadaveri delle vittime rinvenuti nelle fosse comuni, e identificati nel corso dell'anno trascorso. l progetto "Pilastro della vergogna", è sostenuto anche dalla Società Internazionale per i Popoli Minacciati.
Le scarpe fin'ora raccolte sono esposte all'Aia, dove si sta svolgendo il processo contro Radovan Karadžić.
L'11 luglio, per il quindicesimo anniversario del genocidio di Srebrenica, le scarpe saranno esposte a Berlino davanti alla Porta di Brandeburgo, considerata la più grande attrazione turistica della città.
Il progetto "Pilastro della vergogna" prevede che a donare le proprie scarpe siano cittadini comuni e personaggi popolari, anche al di fuori del confine bosniaco. Mentre si fanno fotografare scalzi, sono invitati ad esprimere ciò che pensano della Bosnia Erzegovina o si augurano per il suo futuro.
Per non dimenticare Srebenica
01 luglio 2010
Riassunto della discussione dell’incontro di Padova delle Din del 26- 27 Giugno
Spero che ci sia qualche commento o elaborazione . Coraggio
SULLA MILITARIZZAZIONE
Incontro di Padova, 26-27 giugno 2010
Al nostro incontro sulla militarizzazione erano presenti, oltre a una ventina di Donne in Nero di Padova, Bologna, Verona, Schio, Udine, Torino, Bergamo, Modena, anche donne di Vicenza del Gruppo Donne del Presidio Permanente No Dal Molin e di Femminile Plurale. Questo incontro è stato preceduto da uno scambio di riflessioni e documenti (che si possono vedere su www.gmail.com, nome utente din.documenti, password pace1234), frutto delle discussioni ed elaborazioni di diversi gruppi di DiN, che - anche se non hanno potuto partecipare – hanno contribuito. Perciò rileviamo ancora una volta come l'incontro abbia stimolato in tutte noi il confronto e l'elaborazione…
Le DiN di Padova hanno preparato un documento introduttivo, che hanno presentato proponendo un percorso di interrogativi su cui discutere (si può leggere sempre su www.gmail.com. Oppure sul loro blog: http://controlaguerra.blogspot.com/ ). Riassumo qui la discussione di quasi due giorni; non facile, e a volte ondivaga – il caldo e la complessità non aiutano – cercando di raggruppare per temi gli argomenti toccati.
INCONTRI INTERNAZIONALI IN COLOMBIA
Cosa ci sembra utile e importante per intervenire come DiN contro la militarizzazione delle menti:
Quindi è importante raccontare le esperienze e aiutare a capire quanto là sta avvenendo.
Facciamo quindi alcune richieste e proposte alla rete delle DiN, comprese, ovviamente, noi stesse: