“Nei racconti delle donne non c’è, o non
c’è quasi mai, ciò che siamo abituati a sentire: gente che ammazza eroicamente
altra gente e vince. O viene sconfitta. E la tecnica schierata in campo e i
generali.
I racconti femminili sono altri e
parlano d’altro. La guerra «al femminile» ha i propri colori, odori, una sua
interpretazione dei fatti ed estensione dei sentimenti. E parole sue. Dove non
ci sono eroi e strabilianti imprese, ma persone reali impegnate nella più
disumana delle occupazioni dell’uomo. E a soffrirne non sono solo loro (le
persone!), ma anche i campi, e gli uccelli, e gli alberi. Ogni cosa che convive
con noi su questa terra. E, tranne noi, a soffrire erano esseri privi della
parola, in una angoscia aggravata dalla mutezza.
Ma come è potuto accadere? Me lo sono
chiesto più di un volta: come mai, una volta acquisito e occupato il proprio
posto in un mondo un tempo esclusivamente maschile, le donne non hanno saputo
far valere con altrettanta forza la propria storia? Le proprie parole e
sentimenti? Non ci hanno abbastanza creduto neanche loro. Tenendoci così
nascosto tutto un mondo. La loro guerra è rimasta sconosciuta? Voglio scrivere
la storia di questa guerra. Una storia al femminile.”
(SVETLANA ALEKSJEVIC)
Svetlana Alexievitch, bielorussa, ha ricevuto il
premio Nobel per la letteratura 2015 per i "suoi scritti polifonici,
omaggi alla sofferenza e al coraggio del nostro tempo".
Di libro in libro, denuncia la guerra, la violenza, le
menzogna di cui è intessuta la storia dell’ex impero sovietico. I suoi libri
sono costruiti a partire da racconti, pazientemente raccolti. «Io vado verso
l’essere umano per incontrare il suo mistero», dice.
In La guerra non ha un volto di donna (1985),
raccoglie le memorie delle combattenti della seconda guerra mondiale; rompendo
con le gesta eroiche, fa sentire la verità di questa «inumana attività
umana» che è la guerra. Il libro fu ritenuto «antipatriottico,
degradante» dal potere in carica ma non fu proibito; fu venduto in URSS in
molti milioni di copie.
Ma è Ragazzi di zinco (1989), dedicato al
ritorno dall’Afghanistan, che la conduce davanti alla giustizia. Poi, Preghiera
per Chernobyl, cronaca del mondo dopo l’Apocalisse, tradotto in 17 lingue,
libera un coro di uomini e donne che raccontano il calvario subito dopo
l’incidente nucleare. Magistrale polifonia che si ritrova in Tempo di
seconda mano, dedicato all’homo
sovieticus che va salvato dalla menzogna e dall’oblio raccontandone i
sogni, le vicissitudini e il tragico destino. L’autrice riferisce non la
storia, consegnata nelle cronache autorizzate, ma la «storia delle emozioni,
della mente, dell’esperienza umana».
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