Come donne in nero di Padova desideriamo condividere informazioni e riflessioni intorno alla guerra.

Crediamo che la guerra mostri oggi la sua totale crudeltà e inutilità.

30 maggio 2012

1000 pensieri contro la guerra: per non dimenticare le vittime

Così scrive Azra Nuhefenic, scritrice bosniaca, e così ci invitano a fare le Donne in Nero di Serbia:


"Vi invito a unirsi ad appello di solidarietà globale con le vittime di crimini di massa nella città bosniaca Prijedor, nel 1992. Lassociazione delle vittime ci invita di mettere - il prossimo 31 maggio - un nastro bianco come il segno di supporto. Nel 1992, a Prijedor le autorità serbe avevano ordinato ai non-serbi di segnalare le loro case con le bandiere bianche, e quando lasciavano la casa di mettere il nastro bianco sulle maniche. Questo fu l'inizio di una campagna di persecuzione, seguita da esecuzioni di massa, campi di concentramento, stupri e altri reati. A Prijedor sono statti uccisi 3173 civili, tra cui 102 bambini e 256 donne. Ai campi di concentramento Keraterm, Omarska e Trnopolje furono chiuse o arrestate 31.000 persone. In fine 53.000 i non serbi sono catturati, umiliati ed espulsi. Tutto bene religioso, culturale ed economico di bosniaci e croati nel comune di Prijedor è stato e distrutto. Oggi il sindaco Marko Pavic, e le autorità serbe di Prijedor, hanno esplicitamente vietato alle vittime della campagna di sterminio commemorare la sofferenza in qualsiasi spazio pubblico della città. La società Acelor Mittal che ora possiede il sito su cui c'era il famigerato campo di Omarska, non consente ai sopravvissuti di rendere omaggio né di erigere il monumento alle vittime che sono state uccise o chiuse nel campo di concentramento."

1000 pensieri contro la militarizzazione

SIAMO SEMPRE STATE CONTRO LE PARATE MILITATI E, SOPRATTUTTO, CONTRO LA MILITARIZZAZIONE DEI TERRITORI, DELLE NOSTRE VITE, DELLE NOSTRE MENTI, CONTRO LA GUERRA E LA VIOLENZA. 

OGGI LO SIAMO OIU' CHE MAI, NON SOLO PER LO SPRECO DI DENARO IN TEMPO DI CRISI, MA ANCHE PER RISPETTO DEL DOLORE E DELLA SOFFERENZA DI CHI E' COLPITO DAL TERREMOTO. 

LA FESTA DELLA REPUBBLICA DOVREBBE ESSERE ANCHE LA FESTA DELLA SOLIDARIETA' ATTIVA TRA TUTTE LE CITTADINE E I CITTADINI. 

PER DIRE TUTTE QUESTE COSE SAREMO IN PIAZZA GARIBALDI ALLE 10.30 IL 2 GIUGNO. 

DONNE IN NERO

29 maggio 2012

#1000+1000perlapace: I dati della vendita di armi per poter valutare.


Italia: ecco le armi esportate da Berlusconi a dittatori e regimi autoritari

Giorgio Beretta
Fonte: Unimondo - 14 maggio 2012
Quasi 127 milioni di armamenti per la “dittatura monopartitica” del Turkmenistan (tra cui elicotteri per uso militare, fucili d’assalto, lanciagranate e pistole della ditta Beretta già consegnati); oltre 99 milioni di euro di armi alla Russia di cui si sa solo di 10 autocarri protetti Iveco; una nave d’assalto anfibia da 416 milioni di euro all’Algeria; “prestazione di servizi” da parte del Ministero della Difesa alle Forze armate egiziane nel pieno delle rivolte popolari e oltre 30 milioni di armi destinate al “regime autoritario” del Gabon. Sono solo alcune delle esportazioni autorizzate dal governo Berlusconi nel 2011 sulle quali il rapporto del Consigliere militare del presidente Monti ha steso un velo di silenzio. Ma che si scoprono spulciando le oltre 2500 pagine dell’intera Relazione consegnata al Senato l’8 maggio scorso che Unimondo presenta qui in anteprima. Andiamo con ordine.
Il 24 aprile scorso, l’Ufficio del Consigliere Militare ha reso noto il “Rapporto del Presidente del Consiglio sui lineamenti di politica del Governo in materia di esportazione, importazione e transito dei materiali d’armamento” per l'anno 2011 (scaricabile qui in .pdf). Un rapporto presentato con un forte ritardo, da cui appariva un’inspiegabile sottrazione di informazioni riguardo alla tipologia dei materiali esportati e una serie di dati smentiti dalle stesse tabelle allegate ai documenti ufficiali: un fatto prontamente denunciato da un comunicato congiunto della Rete italiana per il disarmo e la Tavola della pace.
Nello specifico – segnalavano le due associazioni – “dal Rapporto è scomparsa la Tabella 15 (si veda un esempio qui in .pdf) che negli ultimi anni, documentando i valori e le tipologie dei sistemi militari autorizzati verso i singoli paesi, forniva informazioni preziose per il controllo e la trasparenza delle politiche di esportazione militare”. E le tabelle allegate al Rapporto mostravano vari “vuoti” nell’elenco dei paesi destinatari di armamenti (si veda nel Rapporto la Tabella 4): una semplice svista dei funzionari – si sarebbe portati a dire. Sennonché, guarda caso, le “sviste” riguardano una serie di paesi che presentano più di qualche criticità circa il rispetto dei diritti umani, le libertà civili e democratiche e, più in generale, le condizioni di vita e di sviluppo umano. Paesi e governi a cui – ai sensi della legge 195/1990 (qui in .pdf) che regolamenta la materia – si dovrebbe porre più di qualche attenzione prima di esportare armamenti.

Navi, elicotteri e lacrimogeni all’Algeria

Si comincia dall’Algeria, primo acquirente di sistemi militari italiani nel 2011 (oltre 477 milioni di euro di autorizzazioni). Al contestato governo del presidente Bouteflika proprio nel mezzo delle dimostrazioni, ripetutamente represse dalle Forze dell’ordine con gas lacrimogeni, il governo Berlusconi ha autorizzato l’esportazione di un completo arsenale militare. A cominciare proprio dai sistemi antisommossa: 75 mila “cartucce lacrimogene cal. 38 a lunga gittata modello M38 STA/CS-LR” e altre 75 mila “cartucce lacrimogene cal. 38 a corta gittata modello M38 STA/CS-SR” della Simad spa per un valore complessivo di 4.974.000 euro che – come spiega il sito della ditta – sono dotate nel “caricamento al CS di gas irritante e sparano a lungo raggio a circa 120 mt. e a corto a circa 80 mt.”: degli effetti di queste particolari “cartucce” ne sanno qualcosa anche in Val di Susa. Cartucce in buona parte già arrivate ad Algeri visto che la Relazione delle Dogane ne riporta l’uscita dal nostro paese proprio l’anno scorso.
Sempre nel 2011 è stato consegnato alle forze navali algerine un elicottero EH101, primo di un lotto di sei elicotteri AgustaWestland che saranno impiegati principalmente per compiti di trasporto, ricerca e soccorso (ma che il Rapporto governativo dell’anno scorso spacciava per indistinte “apparecchiature elettroniche”: si veda la voce Algeria nel .pdf), a cui Agusta vanno aggiunti 10 elicotteri A109 per la Protezione Civile ma anche 14 elicotteri A139 in versione militare dotati di supporti per mitragliatrici cal. 7.62 sempre della AgustaWestland questi ultimi per un valore di oltre 167 milioni di euro: autorizzazione rilasciata lo scorso anno con destinario la Gendarmeria Nazionale Algerina insieme ad una “nave d’assalto anfibio” per la Marina militare di stazza da 6 a 11 mila tonnellate della Orizzonte Sistemi Navali (la joint-venture tra Fincantieri e Selex Sistemi Integrati) del valore di oltre 416 milioni di euro.

Elicotteri militari e fucili d’assalto al Turkmenistan

L’arsenale si fa più ancora imponente nel caso del Turkmenistan. Verso un paese che definisce se stesso come “democrazia secolare”, ma che il Dipartimento di Stato americano qualifica come uno “stato autoritario” riportando una lunghissima serie di violazioni dei diritti umani (dalla tortura agli arresti arbitrari, dalle restrizioni della libertà di parola, di stampa, di riunione, di associazione e di religione alle restrizioni sulla libera organizzazione dei lavoratori) – denunce ripetutamente segnalate anche da Human Rights Watch, Amnesty International (qui in italiano in .pdf) e da Reporter senza Frontiere per non parlare dell’Economist Intelligence Unit (EIU) che nel suo rapporto sull’Indice di democrazia definisce da diversi anni il governo turkmeno come un “regime autoritario” classificandolo al terzultimo posto al mondo (peggio c’è solo il Chad e la Corea del Nord) – il governo Berlusconi nel 2011 ha autorizzato l’esportazione di ogni sistema d’armamento.
Si comincia – come aveva già segnalato nel 2010 Francesco Vignarca (coordinatore di Rete Disarmo) – con due elicotteri EH101 ampiamente attrezzati da 50,5 milioni di euro, per proseguire con cinque elicotteri AW139per impiego militare” del valore di 64 milioni di euro, e continuare con due cannoni del complesso binato navale 40/70 compatto della Oto Melara da quasi 7 milioni di euro e, tralasciando altre cose minori, chiudere con 1.680 fucili d’assalto ARX 160 con relative oltre 2 milioni di munizioni, 150 lanciagranate GLX 160, 120 pistole semiautomatiche PX4 Storm con dispositivi di soppressione del rumore (si tratta delle stesse pistole vendute qualche anno fa a Gheddafi) e altri devices della Fabbrica d’armi Beretta per un valore totale di 3.870.156 euro. Armamenti ai quali vanno aggiunti tre veicoli aerei teleguidati Falco XN (extra Nato e venduti anche al Pakistan) e assistenza tecnica della Selex Galileo per 8,7 milioni di euro autorizzati nel 2010. Al regime di Gurbanguly Berdymukhammedov sono comunque già state consegnate nel 2011 armi per oltre 82,7 milioni di euro.

Russia, Panama, Egitto, Gabon e altri ancora

Alla Russia dell’amico Putin, il governo Berlusconi nel 2011 ha autorizzato un record di esportazioni militari italiane di oltre 99 milioni di euro (si veda la Tabella 4 del Rapporto): dall’intera Relazione di oltre 2.500 pagine non è possibile però sapere di quali sistemi si tratti a parte dieci autocarri modello M65E19WM protetti e completi di dotazioni proprie della Iveco per un valore totale di 2.750.000 euro.
Simile discorso per il Gabon (uno stato a “regime autoritario” da decenni presieduto dalla dinastia Omar e Ali Bongo Ondimba) verso il quale, per la prima volta in vent’anni, sono state rilasciate nel 2011 autorizzazioni per armamenti italiani del valore complessivo di oltre 30 milioni di euro di cui, però, non è possibile sapere dalla Relazione consegnata al Senato né la tipologia né il quantitativo: lo si saprà, forse, l’anno prossimo a consegne ormai avvenute.
Scartabellando le numerose tabelle si apprende, invece, che gli oltre 77,9 milioni di euro di autorizzazioni rilasciate al Panama riguardano soprattutto sei elicotteri AW139 “per impiego militare” con sei anni di addestramento: una commessa – segnala l’allegato del Tesoro – che ha già richiesto una “revisione prezzi” di oltre 15 milioni di euro e che vale un “compenso di intermediazione” di quasi 7,7 milioni di euro che il Tesoro non spiega né da chi sia stato versato nè da chi sia stato riscosso.
I misteri si infittiscono nel caso dell’Egitto: nel pieno delle rivolte che hanno scardinato il rais Mubarak, il Ministero della Difesa, guidato da La Russa, ha rilasciato due “nulla osta” per “prestazioni di servizi”: il primo il 7 febbraio del 2011 (del valore di 3 milioni di euro) e il secondo il 5 agosto (del valore di 2 milioni di euro, di cui la relazione ne segnala “già utilizzati” per 40mila euro). Dalla R Armi arabia saudita elazione si apprende inoltre che sempre lo scorso anno è stata autorizzata l'esportazione di 14.730 colpi completi per carro armati del calibro 105/51 TP-T IM 370 (equivalente al colpo completo cal. 105/51 TP-T M490) prodotti da Simmel Difesa del valore di 9.292.500 euro e che a fine 2010, cioè poco prima delle sommosse, erano arrivati al Cairo i 2.450 fucili d’assalto automatici Beretta modello SCP70/90 corredati di 5.050 parti di ricambio: che uso ne abbiano fatto le Forze armate egiziane non è dato di sapere.
Si tratta solo di una parte delle armi e sistemi militari autorizzati o consegnati dall’Italia a diversi dittatori e a regimi poco democratici durante lo scorso anno. Un ulteriore denominatore comune raggruppa questi stati: quello di essere produttori di petrolio e di gas naturale o di essere collocati in “zone strategiche” di grande interesse economico e commerciale. E forse proprio questo spiega perché il governo Monti è intenzionato a modificare ulteriormente la legge 185/1990 per semplificare le modalità dei trasferimenti di sistemi militari.
Le associazioni della società civile che hanno richiesto un “incontro urgente” al presidente Monti e agli Uffici competenti hanno comunque già materiale per chiedere se il Governo è intenzionato a ripristinare la trasparenza e, soprattutto, se intende operare affinché i vincoli posti dalla legge 185/1990 non siano aggirati troppo facilmente per interessi che non riguardano la politica estera e di difesa del nostro paese.
Giorgio Beretta
giorgio.beretta@unimondo.org
.

#1000+1000perlapace: Appello di Sbilanciamoci

2 giugno: una parata inutile, costosa e retorica

Fonte: Sbilanciamoci - 02 maggio 2012

“Insistere nel voler festeggiare la Festa della Repubblica con ed anacronistica parata militare nel pieno di una delle crisi economiche più gravi che sta attraversando il nostro Paese è una scelta profondamente sbagliata: uno schiaffo a chi perde il posto di lavoro e non arriva alla terza settimana del mese”. E’ quanto hanno dichiarato Giulio Marcon e Massimo Paolicelli della Campagna Sbilanciamoci.
“Invitiamo il Capo dello Stato -come Capo supremo delle Forze Armate- ad un ripensamento e ad annullare la parata prevista per il prossimo 2 giugno – proseguono Marcon e Paolicelli – destinando i soldi risparmiati al Servizio Civile Nazionale che proprio per mancanza di fondi rischia di morire. Negli anni passati abbiamo calcolato un costo medio della Parata militare di circa 10 milioni di euro, cifra con la quale sarebbe possibile far partire 1.700 giovani per il servizio civile che fanno attività utili per la comunità, aiutando in questo modo più di 10mila persone in stato di bisogno: anziani, disabili, senza fissa dimora, bambini.
Si parla tanto di risparmi -per i disabili e gli anziani- ma non per una parata inutile, costosa e retorica.
Parata esercito italiano Invitiamo le istituzioni -dal Capo dello Stato al Primo Ministro al Ministro della Difesa- qulora non intendessero rinunciare a questa scelta, a non nascondere il costo della parata e a dar conto ai cittadini italiani di quanto verrà a costare esattamente questo evento, calcolando gli oneri di tutte le realtà interessate, dal Comune di Roma, fino al Quirinale stesso.
Saranno poi i cittadini – concludono Marcon e Paolicelli – a valutare le scelte fatte e l’opportunità, di spendere tanti milioni di euro per una parata in tempi di crisi. La festa della Repubblica si può festeggiare in un modo più sobrio e senza esibizioni di carri armati e mezzi d’assalto”.
Note:
Articolo al link http://www.sbilanciamoci.org/2012/05/rinunciare-alla-parata-e-destinare-i-fondi-al-servizio-civile/
.

1000+1000perlapace: Il costo della Nato

Le spese militari dei paesi membri della Nato erano nel 2011di 1.308 miliardi di dollari, a cui gli USA contribuivano con il 70% .Perciò ora l'Europa si adeguerà contribuendo in maniera cospicua con le spese per lo scudo antimissile , l'acquisto degli F35, i sistemi di controllo posti a Sigonella. Sono questi gli investimenti per la crescita?
Un buon motivo per dire no alla parata militare del 2 Giugno

#1000+1000perlapace contro la parata militare del 2 Giugno

Accogliamo l'appello di quante e quanti chiedono che la parata militare del 2 Giugno sia annullata e i soldi devoluti alla popolazione colpita dal terremoto dell'Emilia-Romagna.

1000 PENSIERI PER LA PACE


1000 pensieri per la pace e contro la militarizzazione


2 giugno: lettera al Ministro Riccardi

LE ASSOCIAZIONI NONVIOLENTE E PACIFISTE SCRIVONO AL MINISTRO RICCARDI PER CHIEDERE L'INTERRUZIONE DELLA FORMAZIONE MILITARE DEI GIOVANI DEL SERVIZIO CIVILE CHE PARTECIPANO ALLA PARATA PER LA FESTA DELLA REPUBBLICA


Prof.Andrea Riccardi,
Ministro con delega al Servizio Civile

Gentile Ministro,
Le nostre associazioni da sempre chiedono che la Repubblica Italiana, fondata sul lavoro, non venga festeggiata il 2 giugno con quella che è di fatto una anacronistica e costosa parata militare.
Da diversi anni alla sfilata sui Fori Imperiali partecipano anche alcuni giovani del Servizio Civile Nazionale, in quanto questo istituto concorre, con forme alternative a quelle militari, alla difesa della Patria, come sancito con diverse sentenze anche dalla Corte Costituzionale.
Peccato che questa parità formale non trovi poi un riscontro nella realtà, perché per la difesa in armi nel 2012 vengono stanziati 23 miliardi di euro mentre per il servizio civile vengono stanziati 68 milioni di euro, tanto che il rischio sia addirittura di chiudere questo fondamentale strumento per mancanza di fondi adeguati.
Disparità che ritroviamo anche nella sfilata della Festa della Repubblica, dove sembra che passeranno in rassegna 2.584 militari a fronte di 41 volontari del servizio civile.
Al danno si aggiunge la beffa, infatti in queste ore le testimonianze che arrivano dagli stessi giovani ci dicono che si stanno formando per 13 giorni, presso strutture militari come la base di Guidonia e sotto il coordinamento di militari, per poter sfilare “in formazione”.
Già in passato abbiamo ritenuto poco opportuna una presenza dei giovani su camionette militari ed ora non possiamo accettare questo ulteriore tentativo di militarizzazione del servizio civile.
La difesa nonviolenta della Patria deve avere pari dignità e piena autonomia.
Per questo Le chiediamo di far interrompere immediatamente la formazione militare dei giovani e chiedere al cerimoniale della sfilata che i giovani partecipino semplicemente camminando, nel pieno rispetto delle Istituzioni presenti e della persona del Presidente della Repubblica. Altrimenti crediamo sarebbe meglio non esserci.
Siamo certi che il Presidente Napolitano apprezzerebbe molto di più una libera, gioiosa, spontanea passeggiata giovanile, più vicina allo spirito che anima il Servizio Civile Nazionale, piuttosto che una ipocrita “camminata coordinata” da militari.




Certi di un suo sollecito interessamento, Le inviamo cari saluti di pace

Massimo Paolicelli, Presidente Associazione Obiettori Nonviolenti;
Mao Valpiana, Presidente Movimento Nonviolento;
Giulio Marcon, Portavoce Sbilanciamoci;
Francesco Vignarca, Coordinatore Rete Italiana Disarmo;
Enrico Maria Borrelli, Amesci;
Alessandra Mecozzi, FIOM nazionale/Ufficio Internazionale;
Gianni Alioti, Fim-Cisl nazionale;
Don Albino Bazzotto, Beati i Costruttori di Pace;
Don Renato Sacco, Pax Christi;
Padre Angelo Lavagna, GAVCI;
Lisa Clark, Beati i Costruttori di Pace;
Luisa Morgantini, Portavoce Associazione per la Pace;
Loretta Mussi, Un Ponte per;
Riccardo Troisi, Presidente Reorient Onlus;
Giorgio Giannini, Presidente Centro Studi Difesa Civile;
Enrico Peyretti, Centro Studi Sereno Regis;
Giusy Baioni, Beati i Costruttori di Pace;
Lidia Giannotti, PeaceLink;
Francesco Spagnolo, redattore di “Azione nonviolenta”;
Filippo Thiery, Presidente Coordinamento Obiettori di Coscienza Roma;
Daniele Taurino, Centro nonviolenza litorale romano;
Massimiliano Pilati, Forum trentino per la pace;
Matteo Soccio, Casa della pace di Vicenza;
Rocco Pompeo, Centro studi nonviolenza di Livorno;
Stefano Melis, Rete nonviolenta Sardegna;
Pasquale Pugliese, Formatore volontari civili, Reggio Emilia;
Gabriella Falcicchio, ricercatrice pedagogia, Bari;
Caterina Del Torto, Comitato pace e diritti umani di Verona;
Elena Buccoliero, scuola della nonviolenza di Ferrara;
Franco Perna, Servizio civile internazionale.

c/o Movimento Nonviolento - Via Spagna 8, 37123 Verona - T. 045.8009803 – Fax 045.8009212
Roma, 28.05.2012

27 maggio 2012

 Le Banche armate

21 maggio 2012 - Francesco Vignarca
Fonte: Altreconomia

Dopo qualche ulteriore giorno di attesa, dopo i primi dati raccolti nel Rapporto introduttivo della Presidenza del Consiglio già arrivato con qualche ritardo, siamo finalmente entrati in possesso dei voluminosi tomi che compongono la Relazione al Parlamento sull'export di armi.
E cosa ci dicono i numeri del 2011? Viene confermata una diffusa problematicità a riguardo dei tipi di armamento e soprattutto delle loro destinazioni in aree "calde" e problematiche del globo. Non si possono prendere sotto gamba forniture come quelle di navi e lacrimogeni all'Algeria o elicotteri e fucili al Turkmenistan, e per questo la discussione in sede di opinione pubblica e di Parlamento è davvero fondamentale.

Per quanto riguarda l'appoggio bancario alla vendita estera dei nostri sistemi d'arma (per chiarezza ricordiamo che ciò significa, per i dati di competenza della legge 185/90, la concessione di conti correnti su cui far arrivare i pagamenti delle forniture) si va ad intensificare la tendenza degli scors soldi armi oro ak47 i anni.
Nella propria relazione, che fa parte del gruppo raccolto dalla Presidenza del Consiglio per la presentazione al Parlamento, il Ministero dell'Economia anzi sottolinea con una certa soddisfazione di aver registrato un "trend positivo rispetto al 2010, con un incremento del valore complessivo autorizzato pari a circa il 14 per cento".

La movimentazione finanziaria totale è stata di oltre 4 miliardi di euro, dei quali 2,5 relativi ad operazioni di esportazione (definitiva e temporanea) e i restanti 1,5 derivanti da importazioni di materiale d'armamento. Circa 113 milioni di euro sono finiti nelle tasche degli intermediari di questo tipo di commercio.
Ma quali sono le banche coinvolte? Come per il passato c'è una concentrazione di operazioni su alcuni soggetti ben determinati: se guardiamo alle sole esportazioni definitive, sei istituti bancari hanno da soli movimentato l'80% (cioè 1900 milioni di euro) dei flussi. Da notare qui una frase che ci pare errata nella relazione del Ministero, e cioè quella che afferma che cinque banche da sole hanno il 40% delle autorizzazioni totali con 1,6 miliardi di controvalore, che in realtà equivale a circa il 67%.

Per numero di autorizzazioni è Deutsche Bank a fare la parte del leone (345 su 881) attestandosi come importi autorizzati su circa 665 milioni di euro (lo scorso anno erano 836). Se consideriamo le singole banche il colosso tedesco è saldamente in testa alla classifica, ma se invece sommiamo i valori di istituti appartenenti allo stesso gruppo è ancora l'alleanza BNP Paribas e BNL a prendersi l'onore del primo posto. La succursale italiana della banca francese ha avuto autorizzazioni per un importo di 491 milioni di euro (96 autorizzazioni rilasciate e un calo dagli 862 dello scorso anno) mentre la controllata BNL si porta in casa 223 milioni di euro (più del doppio del 2010) con 57 autorizzazioni. In pratica una redistribuzione interna di autorizzazioni. Sopra i 100 milioni di euro altre due banche estere come Barclays Bank (185 milioni) e Credit Agricole (175 milioni) mentre per i colossi di casa nostra (tra l'altro partecipanti a percorsi di trasparenza importanti e ben strutturati) troviamo dati abbastanza divergenti. Se gli sforzi degli ultimi anni di uscita dalla lista di IntesaSanPaolo paiono coronati da successo (solo 1 autorizzazione per 4.000 euro nel 2011) è Unicredit ad avere "in pancia" ancora diverse operazioni: considerando anche i dati della divisione "Corporate" sono state autorizzati 65 incassi per un controvalore di circa 180 milioni di euro.banca armata
Tra le banche territorialmente legate alla produzione di natura militare vanno poi elencati il Banco di Brescia (17 autorizzazioni per 120 milioni), la Banca Valsabbina (20 autorizzazioni per 67 milioni) e la Cassa di Risparmio della Spezia (73 rilasci per 52 milioni di importi autorizzati).

Più ridotti sono gli importi relativi alle autorizzazioni per esportazioni temporanee, ma anche qui è Deutsche Bank a prendersi gli "onori delle cronache" con il 60% del totale dei flussi certificati dal Ministero. I dati dell'Economia forniscono poi grafici e tabelle relativi alle aree geografiche da cui provengono i pagamenti per le esportazioni definitive (quasi il 50% per paesi OSCE e America settentrionale, oltre il 40% verso Africa, Asia e Medio Oriente) che però sono poco significativi. L'analisi delle destinazioni ha molto più senso al momento dell'autorizzazione di partenza, dove si gioca veramente la scelta politica e non solo la realizzazione operativa di qualcosa già deciso.
Forse può essere maggiormente interessante andare a vedere quali aziende hanno percepito incassi reali nel corso del 2011, sempre sulla base di autorizzazioni alla contrattazione ed alla vendita ricevute negli anni precedenti. Anche i flussi finanziari confermano che il comparto più in salute della nostra industria a produzione militare è quello aeronautico: Agusta e AgustaWestland (elicotteri, per quasi 829 milioni), AleniaAermacchi (aerei, 200 milioni) e Avio (motoristica per aerei, 145 milioni) da sole si sono prese il 48% degli incassi dell'anno. Più a distanza il comparto navale con Orizzonte Sistemi Navali (352 milioni da una sola fornitura, all'Algeria) e Whitehead Alenia Sistemi Subacquei (95 milioni); da menzionare anche Oto Melara (cannoni e artiglieria) che ha portato a casa 124 milioni di euro da 147 diversi incassi e soprattutto Fabbrica d'Armi Pietro Beretta (38 milioni) e Fiocchi Munizioni (5 milioni). Non traggano in inganno gli importi bassi: una pistola, un fucile o un proiettile non costano come un elicottero ma il loro impatto in giro per il mondo può essere ancora più devastante.
Tutto ciò deriva da un'analisi di primo livello della Relazione al Parlamento, che come detto è una prescrizione della legge 185/90 (emendata nel 2003) che mira a raccogliere e mettere a disposizione di Deputati e Senatori (anche se paradossalmente poi chi la legge sono soprattutto i disarmisti…) un serie di documenti prodotti dai Ministeri coinvolti nel percorso di vendita dei nostri sistemi d'arma. Una mole di dati come al solito impressionante anche se, ancora una volta, ciò non coincide con una migliore trasparenza e conoscenza. Mai come in questo caso, in assoluta continuità con il recente passato, la copiosa presenza di numero significa opacità e difficoltà di lettura. Cosa potrebbe capire da una relazione del genere un Parlamentare, che per legge sarebbe chiamato a controllare l'operato governativo sulla vendita di armi, sollecitato da mille altri tematiche e posto di fronte a degli aspetti altamente tecnici? Come si può considerare atto di trasparenza la diffusione di una Relazione di oltre 2500 pagine in forma cartacea o, quando lo sarà anche in formato digitale, tramite un file Pdf senza alcuna possibilità di ricerca per numero o termine perché composto a partire da scansioni e non da una esportazione proveniente dai file di base?

Nonostante questo le organizzazioni del mondo del disarmo continuano ad auspicare una discussione dei dati della Relazione in sede parlamentare, anche con l'aiuto delle analisi proposte da chi queste numerose pagine ha la pazienza di leggersele. L'analisi tratteggiata qualche riga sopra, al di là di tutti i numeri forniti, è comunque parziale e per propria natura incompleta. Non esistendo una fonte di dati che fornisca un collegamento diretto tra l'autorizzazione di incasso ad una banca al paese/arma/azienda a cui esso si riferisce, è difficile ad un primo occhio capire che tipo di transazione sia stata appoggiata dalle diverse banche, e quali sistemi d'arma le nostre industrie abbiano fornito in tutto il mondo. Il che conferma la poca trasparenza di cui ci si lamenta da tempo, richiamata fin dall'inizio.
A queste obiezioni sull'accesso reale ai dati rilevanti di questo comparto spesso i rappresentanti del Governo rispondono che non c'è alcuna opacità e che in realtà tutto quanto si può raccogliere a livello di informazione viene fornito con il massimo dettaglio. Se preso alla lettera ciò è vero: anche nella Relazione di questo anno esiste una precisa e grossa tabella relativa agli incassi riferiti alle singole autorizzazioni concesse dal Ministero degli Esteri, compreso il paese di destinazione. Peccato che per riuscire a capire a quale reale fornitura questi dati si riferiscano (chi ha venduto? che tipo di armamento?) e quale sia stato l'istituto di credito di appoggio occorra incrociare (sperando nella fortuna) le diverse altre tabelle fornite. Con l'obbligo di tenere in considerazione anche quelle degli anni passati!
Una follia: basterebbe infatti fornire un'unica tabella proveniente da unico database, dal quale ciascuno potrebbe aggregare a piacimento i dati complessivi di interesse. Non dovrebbe essere difficile, nel 2012 e in piena era informatica.

***
Ecco la tabella riassuntiva degli incassi autorizzati (per esportazioni definitive sopra i 5 milioni complessivi per istituto)

ISTITUTO
AUTORIZAZZAZIONI
IMPORTI



Deutsche Bank
345
664.433.783 €
BNP Paribas Italia
96
491.388.309 €
Banca Nazionale del Lavoro
57
222.975.288 €
Barclays Bank
25
184.959.352 €
Credit Agricole
3
174.565.969 €
Unicredit spa
55
169.282.325 €
Banco di Brescia
17
119.866.736 €
Natixia Sa
12
69.732.801 €
Banca Valsabbina
20
67.047.638 €
Cassa di Risparmio della Spezia
73
51.979.437 €
Banca Popolare Commercio e Industria
6
43.473.615 €
CommerzBank
33
33.978.166 €
Banco di Sardegna
13
25.744.801 €
Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio
4
10.967.544 €
Unicredit Corporate Banking
10
8.970.467 €
Banco di San Giorgio
9
8.508.080 €
Banca Carige
24
7.724.478 €
Banco Bilbao Vizcaya
8
6.410.004 €
Societé Generale
2
5.216.236 €



#1000+1000perlapace La vendita di armi nell'europa


Alcuni dati del Dossier di Missione Oggi

  1. Il giro d’affari delle esportazioni di armamenti dei paesi dell’Unione europea ammonta ad oltre 30 miliardi di euro all’anno.
  2. Ma, nonostante i corposi rapporti annuali dell’UE, le informazioni sono lacunose. Se, infatti, i dati delle Relazioni UE sono abbastanza certi per quanto concerne le autorizzazioni (licences) all’esportazione, molto carenti risultano invece quelli relativi alle effettive consegne (deliveries) di armamenti: una minuscola nota della Relazione avvisa annualmente che diversi Stati membri “could not supply these data” (non hanno potuto fornire questi dati). E non si tratta di esportatori di poco conto: nel 2010, ad esempio, oltre a Belgio, Danimarca, Grecia, Irlanda e Polonia non hanno fornito le cifre delle consegne anche la Germania e il Regno Unito.
  3. L’Italia ha fornito all’UE “cifre ballerine” sulle consegne di armamenti, molto al ribasso rispetto a quelle contenute nella Relazione inviata al Parlamento nel 2011: tale Relazione per l’anno 2010 riportava come “operazioni di esportazione effettuate” un ammontare di circa 2.754 milioni di euro, mentre il Governo italiano ha segnalato all’UE un totale di esportazioni effettuate (Worldwide exports) per soli 616 milioni di euro.
  4. Il trend degli affari delle esportazioni europee, nonostante la flessione dell’ultimo anno, è comunque in crescita. Le autorizzazioni all’esportazione di sistemi militari sono infatti passate – in valori costanti al 2010 – dai 25 miliardi di euro del 2002 a quasi 41 miliardi di euro del 2009 per poi ridiscendere nell’ultimo anno a poco meno di 32 miliardi.
  5. L’andamento delle consegne (di soli materiali militari, non comprensive delle licenze di produzione e i servizi) rilevate nelle Relazioni dell’UE, seppur chiaramente incompleto per la già citata mancanza di dati di diversi paesi, mostra a partire dal 2004 una sostanziale stabilità attorno ai 10,5 miliardi di euro annui con una crescita nel 2010 quando hanno raggiunto i 13 miliardi di euro: quest’ultimo dato include le consegne di Germania e Italia come riportate nelle relazioni governative dei due paesi.
  6. Le principali zone geo-politiche di destinazione degli armamenti UE: Nell’ultimo quinquennio, i paesi dell’Ue hanno trasferito agli Stati membri materiali militari per poco più di 55 miliardi di euro (33,6%), ai paesi del Nord America oltre 18 miliardi (11%), alle economie avanzate dell’Oceania (qui compreso il Giappone) per quasi 7 miliardi (4,1%) e agli altri Stati del continente europeo (compresa la Turchia) per meno di 11 miliardi (6,5%), mentre – verso i paesi del Sud del Mondo - hanno autorizzato esportazioni di armamenti per oltre 31 miliardi di euro alle nazioni del Medio Oriente (19%), per più di 27 miliardi a quelle dell’Asia (16,5%), per 8 miliardi esatti all’Africa (4,9%) e per oltre 7 miliardi ai paesi dell’America latina (4,4%).
  7. Nel quinquennio 2006-10, a parte gli Stati Uniti (16,5 miliardi di euro) i principali destinatari di armamenti europei tra i paesi del Sud del mondo sono stati i governi autoritari della penisola araba e le nazioni povere e instabili del sub-continente indiano: ma figurano anche i regimi autoritari del Nord Africa e del Medio Oriente. Ecco l’elenco: Arabia Saudita (12 miliardi euro pari al 7,4%), Emirati Arabi Uniti (9 miliardi), India (5,6 miliardi), Oman (4,3 miliardi); Pakistan (4 miliardi), Turchia (3,5 miliardi); Malaysia (3,4 miliardi), Singapore (3,4 miliardi), Marocco (2,5 miliardi), Brasile (2,2 miliardi), Algeria (1,8 miliardi), Kuwait (1,6 miliardi), Venezuela (1,6 miliardi), Indonesia (1,5 miliardi), Cile (1,4 miliardi), Cina (1,2 miliardi), Thailandia (1,2 miliardi), Egitto (1,1 miliardi), Sudafrica (1,1 miliardi) e Libia (1 miliardo).
  8. Negli ultimi dieci anni i paesi dell’UE hanno autorizzato esportazioni di armamenti a 132 nazioni: dalla martoriata Angola al poverissimo Niger, dal Sultanato di Brunei al Laos, da Vanuatu allo Yemen. Mancano solo Corea del Nord, Iran,Tonga e Tuvalu. Ma, nonostante l’embargo di armi dell’UE, ci sono Cina, Somalia, Sudan e Zimbabwe.
  9. I principali esportatori di sistemi militari tra i paesi dell’UE nell’ultimo quinquennio sono: Francia (58,7 miliardi di euro pari al 35,6%), Germania (24 miliardi pari al 14,7%), Italia (23,2 miliardi pari al 14,1%), Regno Unito (12,8 miliardi), Spagna (11,5 miliardi), Austria (6,8 miliardi), Svezia (5,9 miliardi), Paesi Bassi (5,5 miliardi).

26 maggio 2012

1000 PENSIERI PER LA PACE

RIPRENDIAMOCI IL 2 GIUGNO
Il 2 giugno è la festa della Repubblica, ovvero della “res publica”, di ciò che a tutte e tutti appartiene. Una festa ormai da anni espropriata alle donne e agli uomini di questo Paese e trasformata in parata militare, come se questo fosse l’unico modo di rappresentare la Repubblica. 


MA LA REPUBBLICA SIAMO NOI

le donne e gli uomini che nella propria quotidianità ed in ogni territorio lottano per riappropriarsi dei beni comuni, per un welfare universale e servizi pubblici di qualità, per la dignità del lavoro e la fine della precarietà, per il diritto alla salute e all’abitare, per l’istruzione, per una politica di pace. 

Le parate militari non ci rappresentano, ci danno tristezza, non ci rallegrano. Non festeggiano la vita e le istituzioni civili del popolo, non dimostrano amicizia verso gli altri popoli. Il 2 giugno è la nostra festa, la festa delle donne e degli uomini che si riconoscono nella Costituzione, che sancisce i diritti di tutte e di tutti, il diritto al lavoro, all’istruzione, alla salute…, e il ripudio della guerra.


TROVIAMOCI IN PIAZZA 
per dire che vogliamo un 2 GIUGNO DIVERSO, smilitarizzato, in cui fare festa come cittadine e cittadini di: 
- un paese diverso, accogliente, fondato sul rispetto, l’ascolto e il riconoscimento reciproco tra uomini e donne, tra native/i e migranti, tra “noi” e “gli altri”; 
- un paese in cui i/le giovani possano avere un futuro e le persone anziane una vita dignitosa e serena; 
- un paese in cui i beni comuni - aria, acqua, terra, energia, il patrimonio storico, artistico e culturale, l'ambiente naturale, il paesaggio

- restino fuori dalla logica di mercato; 
- un paese che sappia affrontare i conflitti, interni e internazionali, senza ricorrere all’uso della forza; 
- un paese che investa non nelle armi e nella guerra, ma nella cultura, la scuola, la salute, l’occupazione. 

APPUNTAMENTO IN PIAZZA GARIBALDI 
SABATO 2 GIUGNO ALLE 10.30 

Donne in Nero di Padova 

 donneinnero.padova@gmail.com 
http://controlaguerra.blogspot.it/ http://www.facebook.com/MilleeMillePensieriControLaGuerra

22 maggio 2012

1000+1000perlapace: Manifestazione a Roma il 2 Giugno "La repubblica siamo noi"

Per l'attuazione del risultato referendario, per la riappropriazione sociale e la tutela dell'acqua e dei beni comuni, per la pace, i diritti e la democrazia, per un'alternativa alle politiche d'austerità del Governo e dell'Europa Ad un anno dalla straordinaria vittoria referendaria, costruita da una partecipazione sociale senza precedenti, il Governo Monti e i poteri forti si ostinano a non riconoscerne i risultati e preparano nuove normative per consegnare definitivamente la gestione dell’acqua agli interessi dei privati, in particolare costruendo un nuovo sistema tariffario che continua a garantire i profitti ai gestori. Non solo. Da una parte BCE, poteri forti finanziari e Governo utilizzano la crisi economico-finanziaria per rendere definitive le politiche liberiste di privatizzazione dei beni comuni e dei servizi pubblici, di smantellamento dei diritti del lavoro, del welfare e dell'istruzione, di precarizzazione dell’intera vita delle persone. Dall'altra le politiche d'austerità ridimensionano il ruolo dell'intervento pubblico per poi alimentare l'idea che la crescita sia possibile solo attraverso investimenti privati, che in realtà si appropriano dei servizi e devastano il territorio. E' in atto il tentativo di imporre definitivamente il dominio delle "esigenze dei mercati" sulla democrazia, ovvero il diritto di tutte e di tutti a decidere collettivamente sul proprio presente e futuro. Il 2 giugno è da sempre la festa della Repubblica, ovvero della res publica, di ciò che a tutte e tutti appartiene. Una festa ormai da anni espropriata alle donne e agli uomini di questo Paese e trasformata in parata militare, come se quella fosse l’unica funzione rimasta ad un “pubblico”, che si vuole progressivamente consegnare agli interessi dei grandi gruppi bancari e dei mercati finanziari. Ma la Repubblica siamo noi. Le donne e gli uomini che nella propria quotidianità ed in ogni territorio lottano per la riappropriazione sociale e la tutela dell’acqua e dei beni comuni, per un welfare universale e servizi pubblici di qualità, per la dignità del lavoro e la fine della precarietà, per il diritto alla salute e all’abitare, per l’istruzione, la formazione e la conoscenza, per la trasformazione ecologica della produzione, a partire dal Forum Alternativo dei Popoli di Rio+20, per politiche di pace e cooperazione. Le donne e gli uomini che, come nel resto d'Europa, pensano che i beni comuni siano fondamento di un nuovo modello produttivo e sociale. Le donne e gli uomini che dentro la propria esperienza individuale e collettiva rivendicano una nuova democrazia partecipativa, dentro la quale tutte e tutti possano contribuire direttamente a costruire un diverso futuro per la presente e le future generazioni. Crediamo sia giunto il momento in cui siano queste donne e questi uomini a riempire la piazza del 2 giugno. Con l’allegria e la determinazione di chi vuole invertire la rotta. Con la consapevolezza di chi sa che il futuro è solo nelle nostre mani. Promuovono: Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua (Comitati Territoriali per l'Acqua del Friuli Venezia Giulia, Veneto, Trentino Alto Adige, Lombardia, Piemonte, Valle d'Aosta, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Abruzzo, Lazio, Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia, Sardegna; Abruzzo Social Forum, Acea Onlus, Acli - Associazione Cristiana Lavoratori Italiani, Acu - Associazione Consumatori Utenti, Alternativamente.Info, Alternative Europa, Altrimondi, Arci, Associazione Acli Terra, Associazione Botteghe Del Mondo, Associazione Culturale Punto Rosso-Fma, Associazione Di Cooperazione Rurale In Africa E America Latina, Associazione Fratelli Dell’uomo, Associazione Malattie Da Intossicazione Cronica E/O Ambientale, Associazione Federativa Femminista Internazionale, Associazione Italia – Nicaragua, Associazione Italiana Amici Di Raoul Follereau, Associazione Link Onlus, Associazione Medica N.A.Di.R., Associazione Michele Mancino, Associazione Naturista Europea, Associazione Nazionale Dei Comuni Virtuosi, Associazione Ong Italiane, Associazione Per La Decrescita, Associazione Rossoverde, Associazione Sinistra Critica, A Sud Ecologia e Cooperazione Onlus, Attac Italia, Associazione Universitaria Per La Cooperazione Internazionale, Beati i Costruttori Di Pace, Carta, Campagna Per La Riforma Della Banca Mondiale - CRBM, CIPAX - Centro Interconfessionale Per La Pace, Centro Nuovo Modello Di Sviluppo, CEVI- Centro Di Volontariato Internazionale Per La Cooperazione Allo Sviluppo, Chiama L’africa, CIPSI - Coordinamento Di Iniziative Popolari Di Solidarieta’ Internazionale, CNS - Ecologia Politica, COCIS - Coordinamento Delle Organizzazioni Non Governative Per La Cooperazione Internazionale Allo Sviluppo, Comitato Acquasuav (Campagna Italiana Per La Salvaguardia Hasankeyf), Comitato Italiano Per Il Contratto Mondiale Sull’acqua, Comitato Tobin Tax, Commissione Globalizzazione e Ambiente Della Federazione Chiese Evangeliche In Italia, Confederazione Cobas, Confederazione Nazionale Lavoratori, Coordinamento Nazionale Comunita’ Di Accoglienza - CNCA, CRIC - Centro Regionale Di Intervento Per La Cooperazione, Cvm – Comunità Volontari Per Il Mondo, Diocesi Di Termoli - Larino, Engim, Fairwatch, Fa’ La Cosa Giusta!, Federazione Lavoratori Della Conoscenza Cgil, Fiba Cisl - Federazione Italiana Bancari E Assicurativi Della Cisl, Fiom Cgil, Forum Ambientalista, Forum Difesa Salute, Forum Per La Democrazia Costituzionale Europea, Funzione Pubblica Cgil, Geologi Nel Mondo, Geologia Senza Frontiere, Gioventù Francescana d’Italia, Il Manifesto, Ipsia Istituto Pace Sviluppo Innovazioni Acli, Istituto Schole’ Futuro (TO), Federazione Delle Attività Dei Gesuiti Nel Sociale (Jsn), Lavoro E Societa’ Cgil, Legambiente, Libera, Liberazione, Lila Cedius, Lvia - Associazione Solidarieta’ E Cooperazione Internazionale, Lunaria, Mani Tese, Movimento Adulti Scout Cattolici Italiani, Medicina Democratica, Mountain Wilderness, Movimento Consumatori, Movimento D’agape, Movimento Libero Perseo, Movimento Per La Decrescita Felice, Movimento Resistenza Continua, Network Riprendiamoci Il Pianeta, Ordine Francescano Secolare Minori D’italia, Pane E Rose Onlus, Pax Christi, Quale Stato, Rete Lilliput, Rete Nazionale Rifiuti Zero, Rete NO INC, Rete Nuovo Municipio, Rete Per Una Cultura Sostenibile E Indipendente, Rete Degli Studenti Medi, Rete 28 Aprile Nella Cgil, Senza Confine Onlus - Associazione Per Lo Sviluppo Dei Popoli, Servizio Civile Internazionale, Sbilanciamoci, Sindacato Dei Lavoratori (Sincobas E Sult), Sdl Intercategoriale, Slow Food Italia, Terres Des Hommes, Umanisti Per L’ambiente, UISP - Unione Italiana Sport Per Tutti, Unione Degli Studenti, Unione Degli Universitari, Un Ponte Per..., U.S.B., Verdi Ambiente e Societa’ – Vas Onlus, WWF Italia, Associazione Yaku), Altramente, Associazione Culturale TerradelFuoco, Associazione Medici contro la tortura ONLUS, Autorecupero San Tommaso - Roma, Comitato No Debito, Coordinamento Lavoratrici e Lavoratori Autoconvocati, FLARE - Freedom Legality And Rights in Europe, Forum Sinistra Europea, Movimento "2 Giugno" Sostengono: Comunisti Uniti, Ecologisti e Reti Civiche Verdi Lazio, Federazione della Sinistra di Roma, Federazione dei Verdi, Giovani Comunisti, Partito Rifondazione Comunista, Sinistra Ecologia e Libertà _______________________________________________ Donneinnero mailing list Donneinnero@listas.nodo50.org http://listas.nodo50.org/cgi-bin/mailman/listinfo/donneinnero

#1000+1000perlapace:le intenzioni del ministro della difesa

Difesa: Non è "spending review" ma "spendi di più" Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della pace denuncia il provvedimento del ministro della Difesa Giampaolo Di Paola: + spesa pubblica; + armi: + insicurezza Finalmente si taglia. I cacciabombardieri F35 passano da 131 a 90. I soldati passano da 190.000 a 150.000. Uno sente queste cose e pensa: finalmente si tagliano le spese militari. E invece no. Quella del ministro Di Paola è una "riforma" che comporterà l'aumento della spesa pubblica e delle spese militari. Altro che scure sulla Difesa. Altro che "spending review"! Questa è una "spendi di più". Sottoposto a una fortissima pressione morale ed economica, il ministro della Difesa ha dovuto annunciare la revisione di tutti i programmi di armamento delle forze armate e dell'intero apparato militare. Per ottemperare a questo impegno il ministro ha depositato al Senato un disegno di legge con il titolo "Delega al Governo per la revisione dello strumento militare nazionale". Cosa dice il ministro? Non c'è alcun bisogno di ridefinire il modello di difesa, perderemmo solo un sacco di tempo. Il Parlamento deve solo delegarci e noi taglieremo dappertutto: spese, personale, caserme, sprechi, armamenti. Alla fine avremo delle FFAA più efficaci ed efficienti "senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, neppure nella fase iniziale del processo". Meglio di così? Dov'è il problema? Di problemi non ce n'è uno ma molti. Ecco un primo elenco. 1. Il progetto comporta non una riduzione ma un aumento della spesa pubblica. Il ministro vuole liberarsi di circa 33.000 militari scaricando il loro costo sulle altre amministrazioni dello stato. Allo stesso tempo pretende di mantenere inalterato il bilancio a sua disposizione. Ma se il saldo della Difesa resta invariato vuol dire che aumenterà la spesa degli altri ministeri. 2. Il progetto comporta non una riduzione ma un aumento della spesa militare. Il principio-guida è: meno soldati più armi. Ci teniamo gli stessi soldi, riduciamo il personale e investiamo i "risparmi" per comprare nuove armi. 3. Anche la vendita delle infrastrutture militari da dismettere non porterà alcun beneficio al bilancio dello stato o alle comunità locali ma dovrà contribuire ad aumentare il bilancio della difesa. 4. Per incassare altri soldi il ministro pretende inoltre di essere autorizzato a svendere direttamente ad altri paesi le armi di cui si vuole sbarazzare, magari per poi dire che gliene servono di nuove. Di più. Molto di più. Con la riforma il ministro della difesa potrà impegnarsi personalmente nella vendita di armi italiane nel mondo cancellando d'un botto tutte le ipocrisie che circondano l'intreccio tra i militari e l'industria degli armamenti. 5. Il ministro ha le idee chiare anche in materia di protezione civile. Non importa quale sia la minaccia da fronteggiare: ogni intervento di protezione civile delle FFAA dovrà essere pagato (dai comuni?) a piedilista direttamente al ministero della Difesa. 6. Un'altra pretesa del ministro Di Paola si chiama "flessibilità gestionale di bilancio". Come a dire: voi dateci i soldi, poi decidiamo noi come spenderli. Visto le performance del passato c'è da giurare che non si faranno mancare nulla. Ieri le maserati e domani? 7. Con la stessa spudoratezza il ministro pretende di gestire tutto il delicatissimo capitolo della riduzione del personale militare e civile. Per liberarsi di questo "peso" senza troppi problemi, il ministro pretende che ai suoi uomini non venga applicata la riforma delle pensioni appena approvata, che si adottino trattamenti di favore per il trasferimento dei militari in altre amministrazioni pubbliche, negli enti locali e persino nelle municipalizzate e si estendano alcuni privilegi oggi negati a tutti gli altri. 8. Il piano presentato dal ministro è estremamente vago e difficilmente realizzabile. Ci costringe a impegnare centinaia di miliardi di euro da qui al 2024 senza alcuna garanzia di successo. Tant'è che tra le tante pretese c'è anche quella di prorogare annualmente il termine entro cui realizzare la riforma. Se non basteranno 10 anni, la faremo in 11, 12, 13,... Ma questa è la riforma della repubblica delle banane! Di fatto il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola pretende una delega in bianco che gli consentirà di continuare a comprare armi costosissime utili solo a coinvolgere l'Italia in nuove guerre ad alta intensità, di rafforzare l'oscuro mix di interessi che lega la Difesa all'industria militare, di difendere i privilegi della casta militare e di tenere in piedi un carrozzone anacronistico ma molto utile alla mala politica. Impediamoglielo! Ps. Come mai il disegno di legge delega è stato presentato solo dal Ministro della Difesa? Perché non è stato concordato con gli altri ministri? Perché non c'è la firma del Presidente del Consiglio dei ministri? Flavio Lotti, Coordinatore Nazionale della Tavola della pace Perugia, 17 maggio 2012

21 maggio 2012

#1000+1000perlapace: Vertice Nato

Come già ben si sapeva, dal vertice Nato emerge un importante impegno militare del nostro paese con un sostanzioso sostegno economico per mantenere la presenza occidentale in Afghanistan, acquisto degli F35, disponibilità di luoghi per uomini e strutture importanti per la Nato e per l'egemonia USA( per es. base di Sigonella per droni, partecipazione allo scudo antimissilistico). Questo governo si caratterizza dunque per un forte impegno nell'alleanza atlantica:vince la logica delle guerre e delle spese militari. Non c'è niente di cui si possa essere soddisfatte

17 maggio 2012

NO ALLA NATO

Mentre il 19 maggio si apre a Chicago il Vertice dei capi di governo dei paesi NATO, uniamo la nostra voce a quella delle donne di molte città del mondo La NATO è una alleanza militare orientata alla guerra ovunque nel mondo. La sua missione fondativa era la “difesa” della regione del Nord Atlantico: allora perché le Nazioni Unite la utilizzano come braccio armato per combattere guerre di aggressione? Perché ha bisogno di una “Forza di Dispiegamento Rapido” in grado di far intervenire unità combattenti in tutto il mondo in pochi giorni? Dal 1999 la NATO è passata da una strategia di difesa ad una strategia di interventi allargata a tutto il mondo, ovunque si giudichino minacciati gli “interessi” dei paesi membri. Nel 1999 la NATO ha promosso la guerra nei Balcani, chiamandola "guerra umanitaria". Da 10 anni sta portando avanti una guerra brutale in Afghanistan, con gli obiettivi dichiarati, evidentemente irraggiungibili, di “sconfiggere il terrorismo” e “portare la democrazia” mentre la situazione per la popolazione civile è sempre più tragica. Nel 2011 ha condotto la guerra in Libia, ancora una volta con morti e distruzioni, senza raggiungere la proclamata intenzione di portare la pace e la democrazia. La NATO accelera la militarizzazione del mondo e fa aumentare le spese per gli armamenti (il 75% della spesa militare mondiale è dei paesi NATO). Le cento e più basi militari sparse sul territorio italiano, da Bolzano a Lampedusa, in alcune delle quali sono anche immagazzinate testate nucleari, costituiscono un grave pericolo per la sicurezza della popolazione, esponendola al rischio di incidenti devastanti. Perché le donne protestano contro la NATO • Le spese militari della NATO continuano a significare, anche in questo momento di crisi, meno fondi per l’istruzione, la salute e altri servizi molto necessari alle donne, che sostengono la parte maggiore del peso della vita quotidiana. Mentre il governo effettua tagli feroci sulle spese sociali, le spese militari restano sprechi inaccettabili. • Con le basi e le presenze militari aumentano lo sfruttamento sessuale e la violenza contro le donne. Ad esempio le guerre nei Balcani hanno prodotto una enorme industria del sesso e traffico di donne. • Le donne soffrono di più per gli effetti della guerra. Sono loro la maggioranza delle vittime civili, le rifugiate e le sfollate. Migliaia sono prive di mezzi di sopravvivenza. • Come donne, non vediamo alcun ruolo della NATO per la nostra sicurezza. La vera sicurezza deriva da negoziati pacifici e dalla composizione nonviolenta dei conflitti. • Ma le donne non sono solo vittime. Possono avere e hanno un ruolo chiave nella prevenzione dei conflitti, nella riconciliazione e nella costruzione della pace. Anche in decine di altre città, in Italia, in Europa e negli USA, oggi protestiamo contro la NATO e le sue politiche sempre più minacciose. L’esportazione di armi, gli armamenti nucleari, le basi militari, e la sudditanza agli interessi USA sono tutti inquadrati nella NATO. Noi rifiutiamo che la risposta alle crisi globali e regionali sia sempre militare. Vogliamo che le relazioni tra i popoli siano improntate a democrazia e cooperazione pacifica, per costruire un mondo più sicuro e giusto. Donne in Nero

16 maggio 2012

#1000+1000perlapace

E' ora di fermare la guerra contro la terra di Vandana Shiva - 07/12/2011 Fonte: Come Don Chisciotte Oggigiorno, quando pensiamo alla guerra, la nostra mente va verso Iraq e Afghanistan. Ma la guerra più grande è quella contro il pianeta. Ha le sue radici in un'economia che non rispetta i limiti ambientali ed etici, limiti della disuguaglianza, dell'ingiustizia, limiti dell'avidità e della concentrazione economica. Una manciata di compagnie energetiche cerca di controllare le risorse della Terra e così trasformare il pianeta in un supermercato dove tutto è in vendita. Vogliono vendere la nostra acqua, i geni, le cellule, gli organi,la conoscenza, la cultura e il nostro futuro. Le guerre durature in Afghanistan, Iraq e quelle che le hanno seguite non sono solo sangue per petrolio. Man mano che si sviluppano, vediamo che diventano sangue per il cibo, sangue per i geni e la biodiversità , sangue per l'acqua. La mentalità guerriera soggiacente all'agricoltura bellico-industriale è ovvia nei nomi degli erbicidi della Monsanto Round-Up, Machete, Lasso. American Home Products, che si è fusa con la Monsanto, dà il nome a erbicidi altrettanto aggressivi, tra cui "Pentagono" e "Squadron". È il linguaggio della guerra. La sostenibilità è basata sulla pace con la Terra. La guerra sulla Terra inizia nella mente. Pensieri violenti danno forma a azioni violente. Categorie violente costruiscono strumenti violenti. E tutto questo ha la sua massima rappresentazione nelle metafore e metodi che sono alla base della produzione industriale, agricolo e alimentare. Le fabbriche che producevano veleni ed esplosivi per uccidere la gente in guerra sono state trasformate in fabbriche che producono prodotti agrochimici alla fine delle guerre. L'anno 1984 mi ha fatto capire che qualcosa non andava nel modo in cui viene prodotto il cibo. Con la violenza nel Punjab e il disastro di Bhopal, l'agricoltura sembrava in stato di guerra. È stato allora che ho scritto “La violenza della Rivoluzione Verde” e per questo stesso motivo ho lanciato Navdanya come un movimento per l'agricoltura senza veleni e prodotti tossici. I pesticidi, che inizialmente vennero usati come armi chimiche, non potevano controllare i parassiti. L'ingegneria genetica poteva offrire un'alternativa ai prodotti chimici tossici. Invece, ha portato a un maggior uso di pesticidi e diserbanti e ha scatenato una guerra contro i contadini. Gli alti costi delle sostanze chimiche fanno sì che gli agricoltori cadano nella trappola del debito, e il debito porta i contadini al suicidio. Secondo i dati ufficiali, dal 1997 in India si sono suicidati più di 200.000 agricoltori. Fare la pace con la Terra è sempre stato un imperativo etico ed ecologico, che è ormai diventato un imperativo per la sopravvivenza della nostra specie. La violenza contro il suolo, la biodiversità, l'acqua, l'atmosfera, la campagna e i contadini sono un sistema alimentare marziale che non può nutrire le persone. Un miliardo di persone soffrono la fame. Due miliardi soffrono di patologie legate all'alimentazione: obesità, diabete, ipertensione e cancro. Ci sono tre livelli di violenza coinvolti nello sviluppo insostenibile. Il primo è la violenza contro la Terra, che si esprime nella crisi ecologica. Il secondo è la violenza contro le persone, espresso in povertà, miseria e esodi di massa per sfuggire alla fame .Il terzo è la violenza della guerra e del conflitto, quando i potenti prendono in mano le risorse che si trovano in altre comunità e paesi per soddisfare il loro appetito che non conosce limiti. Quando ogni aspetto della vita è commercializzato, vivere diventa più costoso e la gente si impoverisce, anche se guadagna più di un dollaro al giorno. D'altra parte, le persone possono essere ricche in termini materiali, anche senza l'economia monetaria, se hanno accesso alla terra, se i terreni sono fertili, se i fiumi sono puliti, se la cultura è ricca e continua la tradizione di costruire case e bei vestiti, buon cibo, e vi è coesione sociale, solidarietà e spirito comunitario. L'ascesa del dominio del mercato, e della moneta come capitale prodotto dall'uomo, nella posizione di principio superiore organizzativo della società e ormai l'unico modo per quantificare il nostro benessere e ha portato a un indebolimento dei processi che mantengono e sostengono la vita nella natura e nella società. Più ricchi diventiamo, più poveri siamo ecologicamente e culturalmente. L'aumento del benessere economico, misurato in denaro, porta a un aumento della povertà negli aspetti materiali, culturali, ecologici e spirituali. La moneta reale della vita è la vita stessa, questo punto di vista porta ad alcune domande: Come vediamo noi stessi in questo mondo? Perché esistono gli esseri umani? Siamo solo una macchina che produce denaro e divora risorse? Oppure abbiamo uno scopo più alto, un fine superiore? Io credo che "la democrazia terracquea" ci permette di immaginare e creare democrazie viventi basate sul valore intrinseco di tutte le specie, di tutti i popoli di tutte le culture, una ripartizione giusta ed equa delle risorse vitali di questa terra, una divisione delle decisioni sull'uso delle risorse della Terra. "La democrazia terracquea" protegge i processi ecologici che mantengono la vita e i diritti umani fondamentali che sono alla base del diritto alla vita, compreso il diritto all'acqua, al cibo, salute, istruzione, lavoro e sostentamento. Dobbiamo scegliere. Obbediremo alle leggi del mercato dell'avidità corporativa o alle leggi di Madre Terra per mantenere gli ecosistemi terrestri e la diversità degli esseri viventi? Il bisogno di cibo e di acqua delle persone può essere soddisfatto solo se si protegge la capacità della natura di produrre cibo e acqua. Suolo e fiumi morti non danno né cibo né acqua. Pertanto, la difesa dei diritti della Madre Terra è il più importante dei diritti umani e delle lotte per la giustizia sociale. È il più grande movimento pacifista del nostro tempo. La dott.ssa Vandana Shiva è una fisica e ambientalista indiana, che ha ricevuto il Premio Sydney della Pace 2010. Discorso alla Sydney Opera House del 3 novembre. ********************************************** Fonte: Es hora de parar la guerra contra la Tierra   Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di VINCENZO LAPORTA Tante altre notizie su www.ariannaeditrice  

14 maggio 2012

1000+1000perlapace


La parola Io significa eccomi,
Fare qualcosa per un altro. Donare. Essere spirito umano significa questo;

Io non inter-cambiabile, sono io nella misura in cui sono responsabile. Io posso sostituirnmi a tutti, ma nessuno può sostituirsi a me. Questa è la mia inalienabile identità di soggetto. E in questo senso preciso che Dostoevskij dice: "Noi siamo tutti responsabili di tutto e di tutto, davanti a tutti ed io più di tutti gli altri".

Da Lévinas, Etica e finito

13 maggio 2012

1000+1000perlapace : Lettera di Amal Kreishe dalla Palestina

Partecipiamo attualmente alla mobilitazione nazionale in supporto dei prigionieri che sono in sciopero della fame da 23 giorni. Questo è il più grande sciopero della fame della storia con oltre 2.500 prigionieri/e palestinesi che lottano per migliorare le loro condizioni in carcere e il mondo non batte ciglio.
Chiedono soltanto che venga posto fine al loro isolamento costantemente rinnovato e alla detenzione amministrativa che è considerata illegale dalla Legge Umanitaria Internazionale. Chiedono di avere accesso ai canali televisivi di intrattenimento, di avere spazi per incontrare le loro famiglie, in particolare i prigionieri provenienti da Gaza che non hanno visto per anni le loro famiglie. Mahmoud Issa si sta lasciando morire di fame perché è stato in isolamento per ben 10 anni. Altri due Bilal Diab e Thaer Halahleh hanno iniziato il loro 72° giorno questa mattina perché si trovano in stato di detenzione senza accusa o processo.
Bobby Sands è morto nel 66° giorno di sciopero della fame. Le autorità israeliane stanno multando gli scioperanti fino a 100 euro al giorno. Molti sono stati posti in isolamento.A molti di loro è stata tagliata la fornitura di acqua e di elettricità. A molti di loro è stato negata la possibilità di incontrare i loro avvocati. Questo è sicuramente la forma di protesta più non violenta immaginabile. Quante vite dovremo perdere perché ci si metta in azione?
Vi chiediamo di dare sostegno ai prigionieri/e, di inviare una lettera al governo perché faccia pressione su Israele perché ponga fine alle atrocità contro i prigionieri palestinesi che dovrebbero essere protetti dalla Legge Umanitaria Internazionale.
Per la libertà e la giustizia,

UN ALTRO PENSIERO SULLA PACE


Scrive Amelio Anzeliero:

"La pace è apertura all'altro, fiducia nell'altro, nel dialogo con l'altro, anche se l'altro è armato, barricato nelle sue certezze. Incominciamo disarmando il nostro linguaggio.
E disarmiamo il nostro rapporto con la natura, l'ambiente, le generazioni future: lavoriamo per un'economia sostenibile.
Non c'è pace senza rispetto ed esercizio dei diritti umani, primo fra tutti il diritto alla vita: facciamo del Mediterraneo un mare di pace."