Come donne in nero di Padova desideriamo condividere informazioni e riflessioni intorno alla guerra.

Crediamo che la guerra mostri oggi la sua totale crudeltà e inutilità.

28 febbraio 2016

"LE GUERRE SONO GRANDI GIOCHI…" Melita Richter presenta "Trieste" di Daša Drndić

«Le guerre sono grandi giochi. Ragazzotti viziati spostano soldatini di piombo su variopinte carte geografiche. Vi inseriscono il ricavato. Poi vanno a dormire. Le mappe volano nei cieli come aeroplani di carta, si posano sulle città, sui campi, sui monti e sui fiumi. Coprono la gente, ridotta a un ammasso di figurine che più tardi grandi strateghi smisteranno altrove, dislocheranno di qua e di là, insieme alle loro case e ai loro stupidi sogni. Le carte geografiche di dissoluti condottieri ricoprono quello che è stato, sotterrano il passato. Quando il gioco finisce i guerrieri riposano. È a quel punto che arrivano gli storici, a trasformare i giochi crudeli di chi non è mai sazio in menzogne alla moda. Viene dunque scritta una nuova Storia, la quale sarà annodata da nuovi condottieri su nuove carte, perché il gioco non abbia mai fine».

“Il passato non è mai soltanto il passato. Può essere il nostro presente o addirittura il nostro futuro: tutto dipende dal modo in cui ce ne occupiamo…. Se cerchiamo di seppellire quanto è avvenuto, di dimenticarlo, non faremo altro che aiutarlo a tornare per ricordarci che è ancora vivo e vegeto”.
(Daša Drndić)


«Romanzo-mondo» che definisce un’intera mappa dell’esistenza seguendo le cicatrici che le tragedie del Novecento hanno impresso sulla storia europea, Trieste, della scrittrice e intellettuale croata Daša Drndić, è prima di tutto un libro contro l’indifferenza. E questo perché, mescolando tra loro numeri, dati, elenchi di nomi, forme poetiche, sogni, esplosioni emotive, descrive, osservato da quella che è stata per secoli la terra di confine compresa tra Gorizia e Trieste, il contesto nel quale, nel cuore stesso della cultura occidentale, fu dapprima possibile l’ascesa al potere di fascisti e nazisti e quindi la costruzione dei campi di sterminio, l’Olocausto e il massacro di altri milioni di russi, polacchi, zingari, diversi e oppositori di ogni tipo. Miti nazionali, identità, guerre si sedimentano per secoli fino a rendere possibile il trionfo scientifico della macchina di morte nazista. (Guido Caldiron, Il Manifesto 16.6.2015)

Dasa Drndic è una scrittrice croata. Si laurea in Filologia all'Università di Belgrado, presso la Facoltà di Lingua e Letteratura Inglese; e completa la sua formazione conseguendo un Master in Teatro e Comunicazione all'Università dell'Illinois, negli Stati Uniti. Infine, ottiene un dottorato (approfondendo le connessioni tra il protofemminismo e la sinistra) alla Facoltà di Scienze Umane e Sociali all'Università di Rijeka.
Oltre ad essere docente universitaria, la Drndic lavora per anni come editor e produttrice a Radio Belgrado, dando alla luce oltre trenta sceneggiati radiofonici, venduti anche all'estero.
Il suo curriculum è impressionante: è stata insegnante di Inglese alla scuola superiore, editor in una casa editrice di Belgrado, maestra elementare a Rijeka, assistente all'educazione per l'UNHCR, scrittrice di prosa e poesia per i giornali jugoslavi, traduttrice dall'inglese; infine lettrice per gli immigrati serbo-croati all'Università di Toronto. 


Bruna Bianchi presenta "LA GUERRA NON HA UN VOLTO DI DONNA" di Svetlana Aleksievic

“Nei racconti delle donne non c’è, o non c’è quasi mai, ciò che siamo abituati a sentire: gente che ammazza eroicamente altra gente e vince. O viene sconfitta. E la tecnica schierata in campo e i generali.
I racconti femminili sono altri e parlano d’altro. La guerra «al femminile» ha i propri colori, odori, una sua interpretazione dei fatti ed estensione dei sentimenti. E parole sue. Dove non ci sono eroi e strabilianti imprese, ma persone reali impegnate nella più disumana delle occupazioni dell’uomo. E a soffrirne non sono solo loro (le persone!), ma anche i campi, e gli uccelli, e gli alberi. Ogni cosa che convive con noi su questa terra. E, tranne noi, a soffrire erano esseri privi della parola, in una angoscia aggravata dalla mutezza.
Ma come è potuto accadere? Me lo sono chiesto più di un volta: come mai, una volta acquisito e occupato il proprio posto in un mondo un tempo esclusivamente maschile, le donne non hanno saputo far valere con altrettanta forza la propria storia? Le proprie parole e sentimenti? Non ci hanno abbastanza creduto neanche loro. Tenendoci così nascosto tutto un mondo. La loro guerra è rimasta sconosciuta? Voglio scrivere la storia di questa guerra. Una storia al femminile.”
(SVETLANA ALEKSJEVIC)


Svetlana Alexievitch, bielorussa, ha ricevuto il premio Nobel per la letteratura 2015 per i "suoi scritti polifonici, omaggi alla sofferenza e al coraggio del nostro tempo".
Di libro in libro, denuncia la guerra, la violenza, le menzogna di cui è intessuta la storia dell’ex impero sovietico. I suoi libri sono costruiti a partire da racconti, pazientemente raccolti. «Io vado verso l’essere umano per incontrare il suo mistero», dice.
In La guerra non ha un volto di donna (1985), raccoglie le memorie delle combattenti della seconda guerra mondiale; rompendo con le gesta eroiche, fa sentire la verità di questa «inumana attività umana» che è la guerra. Il libro fu ritenuto «antipatriottico, degradante» dal potere in carica ma non fu proibito; fu venduto in URSS in molti milioni di copie.
Ma è Ragazzi di zinco (1989), dedicato al ritorno dall’Afghanistan, che la conduce davanti alla giustizia. Poi, Preghiera per Chernobyl, cronaca del mondo dopo l’Apocalisse, tradotto in 17 lingue, libera un coro di uomini e donne che raccontano il calvario subito dopo l’incidente nucleare. Magistrale polifonia che si ritrova in Tempo di seconda mano, dedicato all’homo sovieticus che va salvato dalla menzogna e dall’oblio raccontandone i sogni, le vicissitudini e il tragico destino. L’autrice riferisce non la storia, consegnata nelle cronache autorizzate, ma la «storia delle emozioni, della mente, dell’esperienza umana».