Come donne in nero di Padova desideriamo condividere informazioni e riflessioni intorno alla guerra.

Crediamo che la guerra mostri oggi la sua totale crudeltà e inutilità.

15 dicembre 2013

Incontro di donne del mondo dal 20 al 22 gennaio 2014 in Svizzera per il dialogo di pace per la Siria



“Senza le donne, non ci sono tavoli di pace"
Cara pacifista,

dopo 3 anni di orribili lotte, il numero dei morti ora supera i 100.000 e più di 7 milioni di Siriani sono stati costretti a lasciare le loro case. Il dibattito per la pace in Siria avrà luogo finalmente alle Nazioni Unite, in Svizzera il 22 gennaio 2014.

Siamo felici di annunciare che CODEPINK e una coalizione di gruppi di donne hanno lanciato Women Lead to Peace (le donne portano alla pace) un'alleanza globale di organizzazioni di donne che chiedono un cessate-il-fuoco immediato in Siria, l’aiuto umanitario per i profughi e la piena partecipazione delle donne ai negoziati dei pace. Mobiliteremo una presenza fisica di centinaia di donne di tutto il mondo per incontrarci in Svizzera dal 20 al 22 gennaio.

Vogliamo che le donne di Siria sappiano che non le abbiamo dimenticate. Aderite a questa campagna oggi ?
Le donne arriveranno in Svizzera il 20 gennaio per pianificare e apprendere l’una dall’altra.
Il 21 gennaio, organizzeremo un Summit con testimonianze di donne siriane e operatori dell’assistenza umanitaria, testimonianze di donne di paesi che hanno vissuto la transizione dalla guerra alla pace (come la Liberia, l’Irlanda, la Bosnia, il Rwanda) e le testimonianze di donne arabe che hanno svolto un ruolo dirigente in lotte non-violente in paesi come l’Egitto e la Tunisia.
Il 22 gennaio, giorno delle discussioni ufficiali di pace, le partecipanti saranno dentro e fuori con manifestazioni creative, belle ed emozionanti.

Questo invio è aperto a tutte quelle che amano la pace. Se volete aderire come organizzazione o come persona, email Perrine. Questa è la nostra opportunità per amplificare la voce delle donne di tutto il mondo, specialmente delle zone di conflitto. Potete contribuire alla sua realizzazione con una donazione oggi per aiutarci a raggiungere il nostro scopo.

Con coraggio per fare sentire la voce delle donne,
Alli, Kelleen, Janet, Jeremy, Jodie, Linda, Lisa, Medea, Nancy K, Nancy M, Noor, Roqayah, Sergei, e Tighe

06 dicembre 2013

AMANDLA !


"Sappiamo troppo bene che la nostra libertà è incompleta senza la libertà del popolo palestinese"

"Un vincitore è un sognatore che non si è mai arreso''.

NELSON MANDELA 



Non arrendiamoci, continuiamo a sognare.

Grazie, Madiba!

05 dicembre 2013

LE DONNE RACCONTANO LA VERITA' DELLA GUERRA




Dossier della Commissione Verità e Memoria “La Verità delle donne vittime del conflitto armato in Colombia”

La Ruta Pacifica de las Mujeres ha presentato il 14 Novembre il Dossier della Commissione Verità e Memoria “La Verità delle Donne vittime del conflitto armato in Colombia” nell’auditorium del Centro Gabriel García Márquez, a Bogotá in Colombia.
I due tomi del Dossier includono l’esperienza delle vittime e delle sopravvissute, raccontata a partire dalle voci di più di mille donne meticce, afrodiscendenti e indigene che hanno sofferto gli orrori della guerra e conservato queste memorie per anni o decadi nel loro corpo e nel loro cuore. Le testimonianze sono state raccolte in 22 dipartimenti e più di 80 municipi dove la Ruta Pacífica de las Mujeres è presente.
(Scarica il Dossier Completo e il Riassunto: Tomo 1; Tomo 2 e Resumen)
Questo Dossier, le cui indagini sono iniziate nel 2010 e che ha presentato il suo risultato finale, rende conto delle violazioni dei diritti umani contro le donne commesse dai diversi attori armati nell’ambito del conflitto, e cerca, come uno dei suoi principali obiettivi, il riconoscimento da parte dello Stato e della società colombiana della dignità e della verità delle donne, e dell’apporto dato da loro per la costruzione della pace. Questa memoria esige una sanzione morale verso coloro che hanno causato tanto dolore e distruzione e un impegno nella prevenzione.
La Commissione di Verità e Memoria cerca di incidere sull’attuale processo di pace riscattando la presenza delle donne come soggetti politici che raccontano la verità a partire dalla propria esperienza. L’empowerment delle donne, col rendere visibili i fatti accaduti, contribuisce alla trasformazione sociale con il riconoscimento dei loro diritti, a partire dall’elaborazione delle sofferenze subite e dalle forme di resistenza sviluppate.
Questo dossier da parte delle donne contribuisce alla costruzione della pace in quanto è un’iniziativa che apre nuovi canali di dialogo, dato che permette di rompere il silenzio delle donne che sono quelle che più hanno subito le conseguenze del conflitto armato colombiano, insieme alle bambine e ai bambini. Una sfida: rendere possibile che le voci delle donne siano ascoltate nel paese, unendo il sostegno alle vittime con l’indagine sui fatti e la ricerca di soluzioni politiche per il conflitto.

Links:

Novembre 2013



26 novembre 2013

NON IN NOME NOSTRO GLI ACCORDI DEL GOVERNO ITALIANO CON IL GOVERNO ISRAELIANO


NO AL VERTICE DELLE COMPLICITÀ

Il 2 dicembre si terrà il Vertice intergovernativo tra Italia e Israele, 4° incontro bilaterale di una serie iniziata nel 2010 per rafforzare le relazioni in campo militare, economico e culturale. Scarse sono le informazioni sul prossimo vertice, come su tutti quelli che lo hanno preceduto. È un problema di mancata trasparenza che ha caratterizzato in generale gli accordi, in particolare quelli esplicitamente militari, a partire dal Memorandum tuttora segreto del 2003, seguito dalla legge 94 del 2005 (“Accordo generale di  cooperazione tra Italia e Israele nel settore della difesa”).


La cooperazione militare in corso tra i due paesi riguarda la compravendita di armi, di sistemi d'arma, di sistemi di controllo e comunicazione, l'addestramento e la formazione di personale militare e le esercitazioni congiunte: due si sono svolte a fine 2011 in Sardegna e nel deserto del Negev; la prossima si svolge in questi giorni nel sud di Israele ed è considerata particolarmente importante da Israele per rafforzare la cooperazione con la NATO, avviata con un accordo del dicembre 2008.
Come esempio di quanto la cooperazione scientifica abbia a che fare col militare, citiamo la 4ª “Conferenza Annuale sulla Cyber Warfare-Protezione Cibernetica delle Infrastrutture Nazionali” tenutasi a Roma nel 2013 presso l'Università la Sapienza. Spesso le collaborazioni tra università italiane e israeliane si risolvono in un sostegno reciproco alla ricerca in campo bellico o della sicurezza, dato che le istituzioni accademiche israeliane contribuiscono a sviluppare strumenti per il controllo dei Territori Palestinesi occupati.
Anche dietro agli accordi commerciali si nascondono attività che realizzano profitti sostenendo l’occupazione e la repressione: l’azienda italiana Pizzarotti ad esempio è coinvolta nella realizzazione di un treno veloce che espropria terreni palestinesi.

L’esercito israeliano mantiene il controllo militare dei Territori Palestinesi attraverso più di 500 check-point, posti di blocco che impediscono la mobilità così come il MURO di ormai 700 Km che circonda e isola villaggi e città della Palestina e continua a essere costruito, malgrado sia stato dichiarato illegale nel 2004 dalla Corte Internazionale di Giustizia dell'Aia; l’occupazione si sviluppa e si radica tramite l’espropriazione di terreni da cui sono cacciati i palestinesi e su cui si costruiscono insediamenti blindati, abitati da coloni israeliani, insediamenti che rubano preziose risorse palestinesi come l’acqua e terreni agricoli fertili: tutte queste sono violazioni della legalità internazionale e dei diritti umani.







L’Unione Europea lungi dal conformarsi alle regole generali del diritto internazionale mantiene relazioni militari, commerciali, culturali e politiche con Israele, politiche che in pratica sostengono l’occupazione e la colonizzazione nei confronti dei palestinesi e, di conseguenza, le violazioni del diritto internazionale commesse da Israele ai danni della Palestina; così si rende essa stessa colpevole di fatti internazionalmente illegittimi che coinvolgono la sue responsabilità internazionale. L’Unione Europea è quindi complice.

Anche il governo italiano è complice: mantiene e rafforza le sue relazioni con il governo israeliano, non tiene per niente in conto i diritti e le ragioni del popolo palestinese, e lo fa malgrado le stragi impunite come l'operazione “Piombo fuso” contro Gaza del 2008-2009. Così come vengono lasciate impunite le minacce alla possibilità di sopravvivenza delle donne e degli uomini palestinesi, sottoposte/i al continuo rischio di uccisione, di cattura e detenzione, di demolizione delle case, di ulteriore sottrazione di territori per espandere le colonie, di perdita delle risorse come l’acqua e gli ulivi, di trasferimento forzato, di espulsione.


Collaborare vuol dire diventare complice e corresponsabile dei crimini di Israele
Non è questa la politica che noi crediamo giusta,
come cittadine/i italiane/i la rifiutiamo e ancora una volta diciamo
NON IN NOSTRO NOME

Per ribadire un forte No a questi accordi sabato 30 novembre si manifesta a Roma, Torino e altre città italiane. A Padova siamo in piazzetta Garzeria alle 11.

Donne in Nero     Associazione per la Pace

24 novembre 2013

25 novembre : SCIOPERO DELLE DONNE

25 novembre: eventi in moltissime città contro la violenza sulle donne. 



Le promotrici hanno scelto il rosso come simbolo della protesta, rosso “che stravolge lo stato presente delle cose”. 

Drappi e stoffe rosse, dunque, fuori da balconi e finestre “perché Rosso è il colore dell’energia, di chi non abbassa la testa, di chi grida forte il proprio dissenso” 

14 novembre 2013

25 NOVEMBRE SCIOPERO DELLE DONNE CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE

Come e dove “Scioperiamo”

Car@ amic@
ad oltre tre mesi dal nostro appello, lanciato il 14 giugno scorso, oggi possiamo contare su oltre mille e trecento adesioni, compresa quella di Susanna Camusso con le donne del direttivo Cgil nazionale, e quella delle bancarie della Fisac Cgil nazionale.
Abbiamo raccolto tutte le idee e i suggerimenti che ci avete inviato, grazie a tutte voi ora abbiamo la data su quando promuovere la nostra azione: il 25 novembre,proclamata dall’Onu giornata internazionale contro la violenza sulle donne, e ormai riconosciuta da tutte le organizzazioni sociali e politiche nel mondo. Una data storica, scelta dal movimento internazionale delle donne latino-americane nel 1981 a Bogotà in onore delle tre sorelle Mirabal, attiviste della Repubblica Dominicana, assassinate il 25 novembre 1961 perché si opponevano al regime dittatoriale del loro paese. Una memoria che non può non ricordarci quanto la politica – sul corpo, sul lavoro, sulla vita delle donne – sia così importante.
Per quanto riguarda le modalità, abbiamo pensato di organizzare lo “Sciopero” su tre azioni congiunte e/o separate (l’una non esclude le altre tenendo conto che a fine settembre contiamo di fare il punto su come procedere con le varie organizzazioni e le associazioni che hanno aderito).
1. Lenzuola e/o pezzi di stoffa rossi esposti dai balconi e/o dalle finestre
2. 15 minuti di silenzio, in piedi, interrompendo qualunque attività di lavoro si stia svolgendo
3. Manifestazioni territoriali di piazza organizzate localmente (con eventuale corteo)
L’idea è quella di stare dentro il 25 novembre – che quest’anno cadrà di lunedì – ma in un modo completamente diverso dal solito. Diciamo in un modo più “militante”, attivo e visibile come “scioperanti”: primo, per non far cadere l’attenzione sul femminicidio (ormai diventato trafiletto da ultima pagina nei quotidiani); secondo, per allontanare da noi l’immagine di vittimismo che il tema, purtroppo, sottintende. Non a caso abbiamo scelto la parola “Sciopero”, e cioè una forma di protesta altamente sociale e politica di autotutela con l’obiettivo di esercitare pressioni sulla “controparte”. Insomma, noi riteniamo che le donne non debbano più essere uccise, maltrattate, offese perché libere e padrone della loro vita, né in Italia né altrove, e che occorrano azioni forti e congiunte come questo “Sciopero” che parla non solo di violenza sulle donne, non solo delle nostre sempre più precarie condizioni di lavoro, ma pone il legame tra le due cose. Per essere più chiare, lo “Sciopero” rappresenta per noi solo l’inizio di un’azione non occasionale ma duratura nel tempo, a vari livelli.
Politico, per liberarci di vent’anni di ulteriori danni causati dal berlusconismo (e relativi consensi), forte di un sessismo arcaico e strutturale che, grazie ad un indottrinamento mediatico, ha contribuito ad una visione della donna sempre più merce, piacevole ornamento o semplice complemento delle fatiche maschili;
Economico, per rimettere al centro le lavoratrici come motore della stragrande maggioranza delle attività produttive di questo paese;
Sociale, perché venga riconosciuta l’importanza del ruolo che la donna svolge nell’immenso lavoro di educazione, di assistenza, di cura;
Culturale, perché i diritti delle persone non sono un optional ma un aspetto fondante della società civile, e perché è proprio dal cambiamento della nostra Cultura – patriarcale e maschilista – che potremo consegnare un mondo più rispettoso delle donne – e dunque più giusto – alle nuove generazioni.
Sull’organizzazione dettagliata delle varie iniziative, stiamo ragionando su varie ipotesi tenendo conto che:
1. sono previsti logo e magliette da indossare durante i 15 minuti di astensione dalle proprie attività lavorative;
2. flash-mob e sit-in locali, foto e video da girare e mettere in rete durante quella giornata.
3. prevediamo di diffondere in rete – sia su questo sito che su Facebook alla voce Lo sciopero delle donne - tutte le informazioni utili per organizzare al meglio la giornata, mettendo in comunicazione persone e/gruppi.
Informaci su piazze/spazi/luoghi dove le persone che desiderano lasciare il proprio lavoro/casa, possono incontrarsi e manifestare insieme, e metteremo tutte le info sul nostro sito (http://scioperodonne.wordpress.com). Con l’obiettivo di fare il punto a settembre, eventualmente in previsione anche di un incontro collettivo con eventuali “portavoce” regionali e/o cittadine.
Per aderire, se ancora non lo avessi fatto, inviaci una mail con nome, cognome e città di provenienza a scioperodonne2013@gmail.com

26 ottobre 2013

LE TRAGEDIE DI LAMPEDUSA : BASTA CIMITERI MARINI DI STATO !




Fleba il Fenicio, morto da quindici giorni
dimenticò il grido dei gabbiani, e il flutto profondo del mare.
E il guadagno e la perdita. Una corrente sottomarina
gli spolpò le ossa in sussurri.
Mentre affiorava e affondava
traversò gli stadi della maturità e della gioventù
entrando nei gorghi.
 (T. S. Eliot, La morte per acqua)


L'articolo 10 della Costituzione della Repubblica Italiana prevede che “lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.

Il diritto di spostarsi liberamente da un paese all'altro deve essere riconosciuto come diritto umano universale, tanto più per chi fugge da guerre, persecuzioni, condizioni invivibili.

Agire per l'attuazione di questo diritto è compito di ciascuna e ciascuno di noi, ma ancora di più è responsabilità delle istituzioni che dovrebbero garantirlo.
Infatti nella legislazione italiana sono presenti norme particolarmente escludenti e repressive, come la legge Bossi-Fini. La sindaca di Lampedusa, Giusi Nicolini, è molto netta su questo punto: “Va abrogato immediatamente il reato di immigrazione clandestina. Non c'è tempo da perdere. Per farlo non c'è bisogno di tavoli e commissioni. Ci sono già campagne avviate da tempo e discussioni approfondite. Quello che è successo è la prova ignominiosa e più evidente dell'assurdità di questa legge. Non è ammissibile che i naufraghi superstiti debbano essere incriminati e vengano trattati da criminali. L'abolizione di questo reato è un gesto dovuto. Il minimo che può fare il nostro paese”.



Dal 18 ottobre è operativa la missione militare-umanitaria Mare nostrum in risposta ai naufragi di migranti nel Canale di Sicilia.
Navi da guerra, elicotteri e persino droni per “evitare nuove tragedie” secondo il governo Letta. Lo scopo della missione è ambiguo, le regole di ingaggio non sono note.
Certo sarebbero molto più adatte le vedette della Guardia Costiera per avvistare i barconi.
Questa nuova missione militare si aggiunge all'azione di Frontex, l'Agenzia europea per il controllo delle frontiere che dal 2006 quando è stata istituita al 2012 è costata 518 milioni di euro e almeno 2000 morti ogni anno, oltre ai rimpatrii forzati di migranti nell”inferno” libico.
Si aggiunge inoltre alle altre 25 missioni militari “di pace” italiane all'estero con 9153 soldati impegnati per un costo di 1,4 miliardi di euro all'anno.

La nostra esperienza ci mostra che sotto la copertura di missioni militari “umanitarie” o “di pace” si nascondono le moderne guerre (Somalia, ex Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Libia, Mali….)che causano morte, distruzione, povertà, profughi e maggiori investimenti nel settore militare, a scapito della spesa sociale in generale (scuola, cultura, sanità..)

NESSUNA GUERRA E' UMANITARIA

NON IN NOSTRO NOME :
● la farsa dei funerali ad Agrigento delle vittime di Lampedusa e la cinica passerella governativa con le bare vuote e senza i superstiti, lasciati nel CIE senza poter nemmeno piangere i loro familiari, in totale disprezzo dei più elementari valori umani.
● la riduzione a problema di sicurezza e di emergenza del fenomeno immigrazione ormai diventato
strutturale, alimentato da gravi responsabilità politiche dei paesi occidentali
La stessa logica porta anche alla criminalizzazione del disagio sociale, del dissenso politico e ogni forma di protesta.
Persino il recente decreto contro il femminicidio approvato in tempi record è stato usato come copertura e ricatto per introdurre leggi speciali “anti NO TAV” sempre nell' ottica della sicurezza, dopo che per l'ennesima volta non è stata ascoltata la richiesta e la competenza femminile sul tema della violenza maschile sulle donne.

Siamo con la Sindaca di Lampedusa Giusi Nicolini che con chiarezza e dignità da tempo chiede risposte diverse per:
─ cancellare il reato di immigrazione clandestina
─ cambiare la legge Bossi-Fini
─ cambiare la politica d' asilo in Europa
─ aprire a livello europeo un canale umanitario affinché chi fugge da guerre e persecuzioni possa
chiedere asilo senza rischiare la vita in mare.
Firma l'Appello a questo link:

Noi vogliamo la vita. E di fronte alla morte il coraggio di dirla, di ricordarla e di narrarla. Il coraggio del dolore e del lutto, per evitare altre morti e altre tombe marine.
Noi vogliamo la vita, la vita con “le altre e gli altri” in un mondo in cui tante storie si intrecciano e culture, lingue, religioni, rapporti economici e costumi si mescolano, tra difficoltà e tensioni, ma aprendo spazi continui di reciproco arricchimento.

Donne in Nero - Padova

03 ottobre 2013

PAESTUM 2013 : LIBERA ERGO SUM

Alternativa alla morte: amare, curare 

da Manu Carlon, Elisabetta Donini, Giuliana Ortolan, Barberina Piacenza (Donne in Nero) 

Vogliamo partire dal nostro desiderio di libertà. 
Ma ci domandiamo cosa voglia dire essere libere, come si possa cercare la strada per essere libere in un mondo strettamente interconnesso, in un mondo di guerra quale è il nostro. C’è guerra dove vige la legge di dominio del più forte, dove non c’è riconoscimento dell’altro, anzi si guarda all’altro come nemico o come essere da schiavizzare, dove l’uso della violenza viene tollerato dalle istituzioni. La guerra è la pratica patriarcale di affrontare i conflitti provocandone altri. La vediamo sia nell’ambito domestico, sia nel tessuto sociale delle nostre città, sia nelle relazioni fra i paesi. 
Ci sentiamo responsabili della guerra che il nostro paese conduce in vari paesi del mondo, chiamandola sempre con altro nome, e che esso sostiene con la costruzione e/o commercializzazione di armi che sono strumenti di morte.
Ci riguarda quanto succede alle altre e agli altri e, in particolare, ci riguarda come donne perché quello che vediamo in azione nelle guerre attuali più che nel passato non sono solo gli interessi geopolitici delle varie potenze internazionali, ma una spinta distruttiva che si perpetua. Quali gli effetti? le donne zittite sotto un dominio maschile violento, il loro corpo considerato bottino di guerra, vita civile impossibile e sempre precaria. 
Il desiderio di libertà è da coniugare con il senso di responsabilità. 

Vogliamo darci la prospettiva di produrre cambiamento. 
Il cambiamento è una necessità, perché, se vince la logica della guerra – sia essa militare o economica o sociale o individuale indotta dalla guerra fra sessi –, la distruzione e la morte si impongono sulla vita. La strada che noi vediamo percorribile è quella di curare le relazioni, come premessa per la cura del mondo, è quella di “smilitarizzare le menti”, come hanno iniziato a dire le Donne in Nero di Belgrado nel pieno delle guerre balcaniche. Questo percorso ci aiuta a considerare che i nostri diritti da conquistare o da consolidare non devono finire per calpestare i diritti delle altre e degli altri. 

Negli anni abbiamo intessuto relazioni tra noi e con donne che vivono esperienze di guerra e violenza, offrendo sostegno e trovando arricchimento e conoscenza. 
Abbiamo denunciato, protestato contro le guerre, il militarismo nelle nostre vite, la produzione e il commercio delle armi. 
Sentiamo che la nostra libertà passa per questa via. Ma ci sentiamo sconfortate quando ci vediamo sole mentre è solamente nelle relazioni intessute con altre donne che respiriamo un’altra aria e ci sentiamo fiduciose. 

Per noi Paestum è apprendere dalle pratiche di altre donne nuove indicazioni, è la possibilità che esperienze diverse si parlino e si intreccino in un percorso per realizzare condizioni di vita libere, migliori per noi qui e per tutte le altre donne.

24 settembre 2013

Risoluzione del XVI Incontro Internazionale delle Donne in Nero Montevideo, Uruguay, 19/8/2013- 24/8/2013

Delegazioni di Argentina, Armenia, Belgio, Cile, Colombia, Congo, Guatemala, India, Israele, Italia, Palestina, Serbia, Spagna, Uruguay. Siamo un movimento internazionale di attiviste femministe che si confrontano con diverse situazioni di oppressione. Rifiutiamo i conflitti armati e le guerre che hanno luogo nel mondo ad opera degli eserciti dei nostri paesi. Rifiutiamo anche le cosiddette guerre “umanitarie” e le guerre preventive, la violenza in situazione di post-conflitto in cui si continua la guerra con strumenti diversi. Il perpetuarsi del potere dei dittatori e dei criminali attraverso artifici legali, l'immunità per gli attori armati e l'impunità per i criminali di guerra. Rifiutiamo anche le guerre sociali generate dall'economia neoliberista che stanno danneggiando il mondo intero soprattutto la gente povera. Ci opponiamo al commercio delle armi la cui produzione è una delle cause della proliferazione delle guerre. Proponiamo che le industrie belliche trasformino la loro produzione spostandola su prodotti non letali. Rifiutiamo anche la continuità della violenza contro le donne in casa, nelle strade, nei luoghi di lavoro. Tutte queste forme di violenza sono generate dal patriarcato che si nutre e si sostenta attraverso le guerre, la violenza e l'ingiustizia e che non ha mai rinunciato a soluzioni belliciste. In tutte queste situazioni si usa una violenza strutturale e sistematica contro le donne, il controllo sociale viene assicurato attraverso il controllo dei corpi delle donne. Il nostro movimento femminista e antimilitarista utilizza forme di lotta nonviolente e fa le seguenti proposte: 1- Azione globale delle Donne in nero per l'abolizione dell'immunità per i membri delle “missioni di pace” delle Nazioni Unite, i caschi blu. E' comprovato che in molte zone di guerra i caschi blu siano stati coinvolti in reati di tipo sessuale contro la popolazione civile come in Congo, Bosnia, Haiti, ecc. A partire dalla ultima settimana di ottobre iniziare le campagne di mobilitazione. 2 Abolire l'impunità per i perpetratori di crimini di guerra compiuti durante interventi militari, guerre umanitarie, dittature e guerre sociali contro i poveri, per impedire che tornino al potere come sta succedendo in molti luoghi. Per questo esigiamo che il sistema giuridico si attivi contro l'impunità. Quindi ci congratuliamo con il Tribunale del Guatemala per la condanna per genocidio del dittatore Efrain Rios Montt, stabilendo un precedente unico nel mondo Per questo lavoriamo e continueremo a lavorare con modelli di giustizia che partono da una visione femminista come i tribunali e le corti delle donne, le commissioni di verità, giustizia e riparazione, ecc. Proponiamo di collocare l'inizio di questa azione contro l'impunità il 24 di maggio 2014, giornata internazionale per la pace e il disarmo. 3 I nostri gruppi di Donne in Nero faranno vigil per ricordare la Nakba palestinese del 1948. Appoggiamo e ci impegniamo con il movimento BDS “Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni contro lo stato di Israele e la sua economia di guerra e la sua politica di occupazione. Riaffermiamo la nostra autonomia e la libertà di decidere sulle nostre vite e i nostri corpi e territori in termini di diritti sessuali e e riproduttivi. Continueremo ad appoggiare le iniziative di pace che i diversi gruppi di Donne in Nero e affini organizzano in conformità con i propri contesti sociopolitici e rispettando l'autonomia di ciascun gruppo che fa parte della rete.   Montevideo 24 agosto 2013

Relazione dall'incontro internazionale delle donne in nero a Montevideo

Questo incontro è stato molto movimentato, incalzante e un po' confuso anche per i continui spostamenti da un luogo all'altro per le varie attività organizzate e una certa mancanza di organizzazione in particolare nella distribuzione degli incarichi da parte delle organizzatrici il tutto in una atmosfera di grande condivisione, affetto e allegria. Le plenarie e i workshop si sono susseguiti e tutte le pause sono state riempite da incontri in café, ristoranti e case (quella di Ana Valdès, perlopiù) in cui la discussione continuava per cui non c'è stato un momento di tregua se non negli ultimi due giorni dopo la chiusura dell'incontro che però abbiamo usato in parte per riscrivere il documento finale dopo le modifiche apportate in plenaria il giorno precedente e in parte con le MdN Uruguay e le WIB inglesi e statunitensi, la belga, e poi Taghrid e Jerstin, rispettivamente palestinese e israeliana che hanno voluto come noi trascorrerli conoscendo la città e partecipando a iniziative organizzate a margine dell'incontro. E' apparsa immediatamente chiara la diversità dei temi posti al centro del loro impegno da parte delle MdN dell'Uruguay cioè finora prevalentemente la violenza domestica, il diritto all'aborto, il femminicidio che del resto erano i temi su cui le donne di quel paese sentivano maggiormente bisogno di attivarsi. In questo senso le MdN hanno lavorato molto bene e creato un'attenzione da parte delle istituzioni locali e del governo. Sono state capaci anche di promuovere manifestazioni molto partecipate di donne che hanno accettato di usare il simbolico delle DIN (il nero e il silenzio) in modo “disciplinato” cioè non come accade alle volte nelle nostre uscite dove fatichiamo ad avere una uniformità su questi aspetti. Hanno posto il tema del destino degli orfani/e del femminicidio ottenendo una legge in proposito che garantisce aiuto socioeconomico a questi bambini così colpiti nei primi anni di vita. Ana Valdès, tornata a vivere in Uruguay dopo un lungo esilio in Svezia, ha portato nel gruppo i temi del militarismo, della memoria di quanto accaduto nella dittatura, della necessità di verità, giustizia e riparazione anche se con una certa difficoltà a trovare una consonanza. Le/i torturate/i incontrano per la strada i loro aguzzini e “sono loro”, le vittime, a dover abbassare lo sguardo” come dice Ana. L'uscita dalla dittatura è stata infatti patteggiata nel 1985 fra militari e tupamaros con un accordo che ha portato alla “ley de caducidad” che ha voluto dire “impunità” cioè una pietra tombale su quanto accaduto. Su nostra richiesta Ana, rimasta prigioniera della dittatura per 4 anni, ha organizzato un incontro con altre due exprigioniere, Anahit, di origine armena, rimasta in carcere per 11 anni e Elena per 4. Abbiamo pensato di fare loro una intervista in cui abbiamo chiesto della loro esperienza, come era nato il loro impegno politico, come avevano vissuto la reclusione, l'essere in balia totale dei torturatori ma anche la solidarietà, la capacità di continuare a discutere e a progettare il futuro anche se in cattività e continuo controllo da parte dei militari, anche lo stupore di fronte alle condanne loro comminate, alla estrema violenza della dittatura dentro e fuori dalle carceri, la gioventù e l'entusiasmo per un progetto di cambiamento che attraversava tutta America Latina e poi la delusione per l'esclusione dalle decisioni, il bisogno di verità e giustizia negato. In ogni caso il tema delle dittature è entrato in maniera prepotente nell'incontro e nei temi delle DIN con la presenza di Argentina, Cile, Guatemala, Uruguay. L'Uruguay è un paese laico, la legge sul divorzio è del 1907 e non c'è religione di stato, non si insegna religione nelle scuole e queste sono pubbliche e obbligatorie per tutte/i oltre che gratuite fino all'università, il secolarismo diffuso si sente chiaramente nell'atmosfera che si respira in questo paese dove però una legge sul diritto all'aborto è stata ottenuta solo da poco tempo ed è caratterizzata da regolamenti che mostrano una mancata rinuncia al controllo sul corpo delle donne (e quindi sulla natalità e ai fini del controllo sociale) a dimostrazione che il patriarcato anche nel secolarismo limita, se può, le libertà femminili ma le donne non si perdono d'animo e hanno intenzione di far cambiare la legge. La gioventù è istruita c'è molto interesse per teatro, opera, musica classica, la legge permette i matrimoni omosessuali, la legalizzazione delle droghe leggere sotto controllo dello stato, il tutto molto recente. Nel centro di Montevideo, come a Bologna esiste la Zona della diversità sessuale con un edificio affidato alle organizzazioni gay e lesbiche, transgender e in generale lgbt. Le donne partecipano attivamente alla politica, Montevideo ha una sindaca che ha proclamato Montevideo “città della pace” per tutta la durata del nostro incontro (6 gg.) e ha voluto che l'inaugurazione assumesse un carattere ufficiale, Durante questo evento abbastanza partecipato, Stasa ha preteso e ottenuto che venisse tolta la bandiera serba che ingenuamente era stata messa, insieme a quelle riferite alle altre delegazioni presenti (certo questo ha messo in luce una mancanza di consapevolezza del nostro sentire sulle questioni che riguardano nazioni/nazionalismo però hanno capito subito di aver fatto un errore). Il governo ha definito il nostro incontro di “interesse nazionale”. Montevideo è una città politicizzata, in vari luoghi della città si propagandano in vari modi le ultime leggi sui diritti civili anche con proiezioni sulle pareti dei palazzi, Insomma questo incontro è stato immerso nella realtà locale, in modo un po' inusitato e anche questo sta a testimoniare modalità e approcci diversi fra le varie realtà in cui sono presenti nel mondo le DIN, si capiva anche che in determinati ambienti c'era interesse rispetto alla nostra realtà di DIN. Da quello che abbiamo capito ci sono state diverse realtà che hanno chiesto di incontrarci, ad esempio abbiamo incontrato una delle 19 Comuna Mujer, luoghi gestiti da donne, dipendenti e volontarie, che offrono accoglienza e consulenza legale e psicologica alle donne che vivono nel dipartimento cui afferisce ogni Comuna (un “consultorio” per più quartieri). Il servizio è molto interessante e prevede anche attività di formazione e empowerment, hanno anche ricevuto la visita di Rigoberta Menchù cosa di cui sono molto orgogliose. Per quanto riguarda i casi di violenza in famiglia per cui la donna sia costretta ad allontanarsi dalla casa, il servizio/rifugio viene fornito direttamente dal governo attraverso “hogares” temporanei e segreti. Abbiamo avuto la presenza di un gruppo di attiviste cilene di cui forse vi avevo già accennato, erano otto (una è arrivata da solo in macchina attraversando la Cordigliera delle Ande e hanno trovato molto stimolante la nostra proposta, più avanzata rispetto ai soli temi pur importantissimi della violenza sulle donne (femminicidio) dell'autonomia del corpo delle donne (depenalizzazione aborto -attuato con metodo farmacologico quindi a casa-; in Cile c'è la legge più restrittiva in tal senso), e in generale dei diritti sessuali e riproduttivi. Loro sembrano molto interessate a sviluppare anche i nostri temi a partire dalla lotta contro la guerra come prodotto del patriarcato, e la violenza sistematica sulle donne nella guerra oltre che contro il militarismo che in particolare in Cile è un tema importante da da porre nell'agenda femminista. Ci hanno ringraziato per il valore che abbiamo dato loro e per aver aperto loro un nuovo orizzonte di impegno. C'era una ragazza che rappresentava le DIN Armenia che ha portato video sulle mobilitazioni che fanno nel loro paese, molto simboliche ma anche molto giovani non mancano infatti performance con musica e ballo. Vorrei descrivervi anche le giornate dell'incontro per ora vi dico come si è svolta la prima giornata cioè il 19/8/2003 Jenny Escobar che alcune di noi conoscono ha introdotto l'incontro invitando i vari gruppi a presentarsi illustrando i temi prevalenti del loro impegno e le pratiche politiche. Tutti i gruppi hanno portato il loro contributo che è stato sempre permeato anche dalla voglia di condividere, dell'importanza della rete e della forza che può dare a tutte noi, dell'importanza di incontrarci, di abbracciarci, parlarci, darci valore. In pomeriggio siamo andate all'inaugurazione ufficiale di cui ho già parlato in parte. Ha avuto luogo nel municipio dove siamo intervenute come delegazioni presenti per testimoniare lo sviluppo della nostra rete a partire dal primo gruppo in Israele poi Italia, Serbia, Spagna, Colombia. Questa è la 1a puntata, spero di non essere stata troppo lunga e noiosa. A breve il resto del racconto e il documento che ancora solleva osservazioni.

07 settembre 2013

LA GUERRA NON E' LA RISPOSTA


SEMPRE E SOLO GUERRA?

Da anni continuiamo a levare la nostra voce

contro la guerra e la cultura della guerra

contro le dittature, i regimi, le occupazioni militari, le repressioni in corso.

Ed ora si prepara un altro intervento “umanitario” 
contro la Siria

Afghanistan

Iraq

Libano

Somalia

Mali

Libia

Siria?

Iran?

il ricorso alle armi non è la risposta!

nessuna guerra è necessaria 
nessuna guerra è inevitabile 
nessuna guerra è umanitaria
nessuno di questi interventi ha portato la pace, solo altra guerra e terrorismo


Consapevoli che la violenza genera solo violenza, di cui è vittima soprattutto la popolazione civile

CHIEDIAMO

un cessate il fuoco immediato e rispettato da tutte le parti
il blocco di tutti i rifornimenti di armi
una soluzione negoziale e non armata del conflitto siriano
accoglienza dignitosa per le popolazioni in fuga da dittature e guerre.

Invitiamo tutte e tutti a mobilitarsi a partire da oggi
contro le guerre, l’industria delle armi che le alimenta,
il militarismo che crea consenso alla logica della guerra. 


  Donne in Nero             Associazione per la Pace           

Padova 7 settembre 2013