Come donne in nero di Padova desideriamo condividere informazioni e riflessioni intorno alla guerra.

Crediamo che la guerra mostri oggi la sua totale crudeltà e inutilità.

28 marzo 2013

3 aprile h17.30 in piazzetta Garzeria contro la guerra



SIAMO SEMPRE IN GUERRA

Perché anche in questo periodo di crisi economica del nostro paese le uniche spese che non sono state tagliate sono le spese militari?
Perché da parecchi anni l'Italia è in guerra, coinvolta in molteplici azioni militari in diversi paesi?

L'Italia è coinvolta direttamente in alcuni conflitti – come im Afghanistan - in cui impegna truppe e velivoli; a tanti altri partecipa indirettamente fornendo basi militari, appoggio logistico, depositi di armi, disponibilità di aeroporti e porti (ieri in Libia, oggi in Mali).

Le risorse si stanno esaurendo in tutto il mondo, non solo petrolio e materie prime, ma anche beni comuni come l'acqua. Per appropriarsene e ottenerne il controllo i paesi più forti scatenano interventi armati, giustificati con ogni tipo di pretesto: presenza di armi di distruzione di massa in realtà inesistenti come in Iraq, cattura di terroristi e tutela delle donne come in Afghanistan, cacciata di dittatori con cui si erano fatte alleanze e affari fino al giorno prima come in Libia.
Con l'uso della violenza armata si cancellano i diritti, alla giustizia si sostituisce la forza e così ha ragione chi è più forte.

“Smilitarizziamo le menti e i territori”

Per esercitare la violenza e fare le guerre c’é bisogno non soltanto di produrre, vendere e acquistare armi, ma anche di convincere che i rapporti e i conflitti tra i paesi possono essere regolati solo sulla base della forza.
Smilitarizziamo le menti non è né una visione astratta né un’utopia, è un’indicazione morale e un modo di pensare di cui siamo profondamente convinte.

Liberiamoci dalla cultura della violenza e della guerra

Esigiamo il taglio delle spese militari e il ritiro
delle nostre truppe da tutti gli interventi militari



Donne in Nero di Padova
3 aprile 2013

donneinnero.padova@gmail.com
http://controlaguerra.blogspot.it/


24 marzo 2013

La guerra alle donne nel Kiwu (R.D.Congo9


Il Dottor Mukwege a Kinshasa ricorda il martirio delle donne del Kivu
Colette Braeckman - 16 marzo 2013



Inaudito al Centre Wallonie Bruxelles a Kinshasa: quando il Dottorr Mukwege smette di parlare, il pubblico, spontaneamente, osserva un minuto di silenzio. Ombre di donne torturate aleggiano sul pubblico. Scorrono lacrime, domande premono ma, davanti a tanto dolore evocato così sobriamente, le parole si fermano in gola. E poi improvvisamente sgorga un canto, intonato all’unisono: «In piedi Congolesi, uniti dalla sorte». L’inno nazionale assorbe i singhiozzi, lava le umiliazioni. Domani, dice il testo «noi costruiremo un paese più bello di prima».
Forse. Nell’attesa, il Dottor Denis Mukwege, medico-capo dell’ospedale di Panzi, nel Sud Kivu, ha riportato nella capitale il martirio delle donne della sua provincia. Violentate. Mutilate. Sventrate. Bruciate. Contaminate. Cacciate. Condannate.
Da più di 20 anni ormai questo ginecologo-ostetrico affronta un fenomeno nuovo nella regione: il «terrorismo sessuale» che utilizza il corpo delle donne come campo di battaglia. La violenza sessuale è diventata uno strumento per spezzare le resistenze, conquistare terre o zone minerarie, imporre la fuga o l’asservimento. E anche per ipotecare l’avvenire con queste bombe umane che sono le donne portatrici di HIV, o queste migliaia di bambini nati dallo stupro, rifiutati da tutti, ritenuti «serpenti» o Interhamwe [miliziani hutu], carne da cannone delle prossime guerre.
Per 3 giorni, invitato da WBI, il Dottor Denis Mukwege ha incontrato pubblici molto differenti, giornalisti, rappresentanti di ONG, responsabili politici tra cui la Ministra del Genere, signora Inagozi, e infine colleghi, che lavorano in molti ospedali della capitale. Ha proiettato loro insostenibili immagini di vagine distrutte, di lesioni inguaribili. Ha presi i suoi confratelli come testimoni: Che fare, quando al momento di operare una bambina di 6 anni, sventrata, le lacrime vi offuscano la vista?».
Come dovuto tra specialisti, i termini sono precisi, travolgenti: «lacerazione della divisione retto vaginale», «sfintere esploso», «cloaca retto vaginale»…  Aldilà dei cliché clinici e delle diagnosi, il medico analizza la metodologia di queste violenze: gli stupri sono sistematici, di massa, interi villaggi sono attaccati ed ogni banda armata ha il suo modi di operare. Gli uni bruciano le vagine, gli altri le riempiono di acido, altri ancora vi scaricano i loro fucili. Tutti questi atti si svolgono in pubblico, affinché alle sofferenze si aggiunga l’umiliazione, affinché i bambini sopravvissuti siano segnati a vita e i mariti colpiti da impotenza. Egli dice anche che questi crimini non sono motivati dalla ricerca del piacere, del godimento: nascono dalla perversione, dalla volontà di conquista, di dominio.
Il vincitore del premio della Fondation Roi Baudouin nel 2011 non si accontenta di curare, - l’ospedale Panzi ha già accolto 40.000 donne sofferenti -, lui vuole anche dare alle vittime un aiuto sia giuridico, sia psicologico ed economico, sotto forma di microcredito e degli «sportelli unici» sono stati creati a questo scopo.
Mukwege non si accontenta di redigere il martirologio delle donne del suo paese, egli tenta di risalire alle cause. Per lui, se le bande armate hanno scelto di praticare lo stupro come arma di guerra, è perché è stata sempre loro garantita l’impunità; negli accordi di pace che si sono succeduti, i criminali sono stati amnistiati, gratificati, promossi. Degli stupratori, stupratori di bambini sono diventati ufficiali, integrati nell’esercito regolare. E nei territori del Kivu dove operano le bande armate, combattute dalle forze governative che spesso non sono molto meglio, si assiste a una «riduzione demografica»: gli sfollati di guerra muoiono, le donne diventano sterili e gli uomini impotenti trovano la loro salvezza nella fuga. Inoltre, l’anno è cominciato male nella regione: nei primi due mesi del 2013 l’ospedale di Panzi ha registrato più di 300 casi di donne venute a farsi curare in seguito a violenze sessuali, ossia tante quante durante tutto il 2011. Questo deterioramento della situazione è dovuto alla moltiplicazione dei gruppi armati nell’Est del paese e alla ripresa dei combattimenti nel Nord Kivu.
Avendo scelto non solo di curare ma anche di testimoniare per risalire alle cause di queste atrocità, il Dottor Mukwege è invitato ovunque nel mondo. Ma a Kinshasa, questo medeco del lontano Kivu era rimasto uno sconosciuto. Alcuni invidiosi si interrogavano sulle ricompense internazionali accumulate, alcuni politici vedevano in lui uno degli interlocutori preferiti degli Occidentali e diffidavano della sua eloquenza, il gran pubblico ignorava non solo il suo nome ma anche la realtà del flagello che egli combatte.
Il Dottor Mukwege ha tenuto a ricordare di essere innanzi tutto un medico, un «muganga»: la fine del suo soggiorno è stato dedicato a consulti gratuiti nell’ospedale Saint Joseph, a Limete dove ha potuto constatare che la sofferenza delle donne congolesi non si limita al Kivu. Anche a Kinshasa l’epidemia dello stupro si è diffusa, le malattie sessualmente trasmissibili sono legione. «Ormai, io sosterrò anche le donne di Kinshasa» assicura il Kivutiano, «è inconcepibile che in una città da 8 a 10 milioni di abitanti, non ci sia un solo «punto focale» dove le donne disperate possano ricevere un aiuto medico, psicologico, giuridico, insomma godere di un approccio olistico… ».
Ormai riconosciuto e sostenuto nella capitale del suo paese, il ginecologo di Panzi resta tuttavia un uomo inquieto, che teme per la sua vita ed è poco protetto. Si ricorda che, lo scorso ottobre, mentre, rientrando da un viaggio dopo aver trascorso la sua giornata all’ospedale, raggiungeva il suo domicilio, 5 uomini armati li attendevano a casa sua, tenendo in ostaggio le sue figlie. Quando la sua auto varcò il cancello, gli assassini aprirono il fuoco, uccidendo la guardia che si era precipitata incontro. Per miracolo Mukwege sfuggì alla morte e in seguito, egli trascorse 3 mesi in esilio. Ma lo scorso gennaio, non potè restare più: tutte le donne di Bukavu pregavano per il suo ritorno, le commercianti dell’isola di Idjui vendevano i loro ortaggi per pagargli il viaggio aereo, le pazienti di Panzi reclamavano «papa Mukwege».

16 marzo 2013

IN MEMORIA DI RACHEL CORRIE

Il 16 marzo 2003, Rachel Corrie, una giovane attivista americana dell'ISM, mentre cercava di impedire la demolizione di case palestinesi nella striscia di Gaza, fu schiacciata a morte da un bulldozer israeliano.

All'indirizzo http://rachelcorriefoundation.org/ un video dei genitori di Rachel a 10 anni dalla morte.



Da una email alla madre:

“Voglio solo scrivere a mia madre per dirle

che sono testimone di questo genocidio quotidiano e subdolo,

che ho veramente paura,

che comincio ad avere dubbi sulla mia fondamentale convinzione nella bontà della natura umana.

Tutto questo deve finire.

Credo sia una buona idea se tutti noi lasciamo ogni altra cosa e se dedichiamo le nostre vite a fare in modo che tutto questo finisca.

Incredulità e orrore sono le cose che provo. Delusione.

Sono delusa che questa sia la realtà di fondo del nostro mondo e che noi, di fatto, ne siamo complici.

Questo non è affatto quello che io ho chiesto quando sono venuta in questo mondo. Questo non è affatto quello che le persone volevano quando sono venute in questo mondo.

Non pensavo che stavo per venire in un mondo dove io potevo vivere nella mia comoda casa ed esistere senza la minima consapevolezza della mia partecipazione in genocidi.

Altre forti esplosioni da qualche parte là fuori.”

05 marzo 2013

8 MARZO : GIORNATA DELLA DONNA... VIVA

Questa immagine è disponibile per chiunque voglia condividerla e utilizzarla. 

Perché l’8 marzo sia giornata di memoria, per tutte le donne che sono state vittime della violenza di ogni genere. 

Perché ogni giorno, ogni momento, c’è una donna che soffre o che muore per mano di un uomo che considera quel corpo e quell’anima 
una sua proprietà.