Il Dottor Mukwege a Kinshasa ricorda il martirio delle
donne del Kivu
Colette Braeckman - 16 marzo 2013
Inaudito al
Centre Wallonie Bruxelles a Kinshasa: quando il Dottorr Mukwege smette di
parlare, il pubblico, spontaneamente, osserva un minuto di silenzio. Ombre di
donne torturate aleggiano sul pubblico. Scorrono lacrime, domande premono ma,
davanti a tanto dolore evocato così sobriamente, le parole si fermano in gola.
E poi improvvisamente sgorga un canto, intonato all’unisono: «In piedi
Congolesi, uniti dalla sorte». L’inno nazionale assorbe i singhiozzi, lava le
umiliazioni. Domani, dice il testo «noi costruiremo un paese più bello di
prima».
Forse.
Nell’attesa, il Dottor Denis Mukwege, medico-capo dell’ospedale di Panzi, nel
Sud Kivu, ha riportato nella capitale il martirio delle donne della sua
provincia. Violentate. Mutilate. Sventrate. Bruciate. Contaminate. Cacciate.
Condannate.
Da più di 20
anni ormai questo ginecologo-ostetrico affronta un fenomeno nuovo nella
regione: il «terrorismo sessuale» che utilizza il corpo delle donne come campo
di battaglia. La violenza sessuale è diventata uno strumento per spezzare le
resistenze, conquistare terre o zone minerarie, imporre la fuga o
l’asservimento. E anche per ipotecare l’avvenire con queste bombe umane che
sono le donne portatrici di HIV, o queste migliaia di bambini nati dallo
stupro, rifiutati da tutti, ritenuti «serpenti» o Interhamwe [miliziani hutu], carne da cannone delle
prossime guerre.
Per 3
giorni, invitato da WBI, il Dottor Denis Mukwege ha incontrato pubblici molto
differenti, giornalisti, rappresentanti di ONG, responsabili politici tra cui
la Ministra del Genere, signora Inagozi, e infine colleghi, che lavorano in
molti ospedali della capitale. Ha proiettato loro insostenibili immagini di
vagine distrutte, di lesioni inguaribili. Ha presi i suoi confratelli come
testimoni: Che fare, quando al momento di operare una bambina di 6 anni,
sventrata, le lacrime vi offuscano la vista?».
Come dovuto
tra specialisti, i termini sono precisi, travolgenti: «lacerazione della
divisione retto vaginale», «sfintere esploso», «cloaca retto vaginale»… Aldilà dei cliché clinici e delle
diagnosi, il medico analizza la metodologia di queste violenze: gli stupri sono
sistematici, di massa, interi villaggi sono attaccati ed ogni banda armata ha
il suo modi di operare. Gli uni bruciano le vagine, gli altri le riempiono di
acido, altri ancora vi scaricano i loro fucili. Tutti questi atti si svolgono
in pubblico, affinché alle sofferenze si aggiunga l’umiliazione, affinché i
bambini sopravvissuti siano segnati a vita e i mariti colpiti da impotenza.
Egli dice anche che questi crimini non sono motivati dalla ricerca del piacere,
del godimento: nascono dalla perversione, dalla volontà di conquista, di
dominio.
Il vincitore
del premio della Fondation Roi Baudouin nel 2011 non si accontenta di curare, -
l’ospedale Panzi ha già accolto 40.000 donne sofferenti -, lui vuole anche dare
alle vittime un aiuto sia giuridico, sia psicologico ed economico, sotto forma
di microcredito e degli «sportelli unici» sono stati creati a questo scopo.
Mukwege non
si accontenta di redigere il martirologio delle donne del suo paese, egli tenta
di risalire alle cause. Per lui, se le bande armate hanno scelto di praticare
lo stupro come arma di guerra, è perché è stata sempre loro garantita
l’impunità; negli accordi di pace che si sono succeduti, i criminali sono stati
amnistiati, gratificati, promossi. Degli stupratori, stupratori di bambini sono
diventati ufficiali, integrati nell’esercito regolare. E nei territori del Kivu
dove operano le bande armate, combattute dalle forze governative che spesso non
sono molto meglio, si assiste a una «riduzione demografica»: gli sfollati di
guerra muoiono, le donne diventano sterili e gli uomini impotenti trovano la
loro salvezza nella fuga. Inoltre, l’anno è cominciato male nella regione: nei
primi due mesi del 2013 l’ospedale di Panzi ha registrato più di 300 casi di
donne venute a farsi curare in seguito a violenze sessuali, ossia tante quante
durante tutto il 2011. Questo deterioramento della situazione è dovuto alla
moltiplicazione dei gruppi armati nell’Est del paese e alla ripresa dei
combattimenti nel Nord Kivu.
Avendo
scelto non solo di curare ma anche di testimoniare per risalire alle cause di
queste atrocità, il Dottor Mukwege è invitato ovunque nel mondo. Ma a Kinshasa,
questo medeco del lontano Kivu era rimasto uno sconosciuto. Alcuni invidiosi si
interrogavano sulle ricompense internazionali accumulate, alcuni politici
vedevano in lui uno degli interlocutori preferiti degli Occidentali e
diffidavano della sua eloquenza, il gran pubblico ignorava non solo il suo nome
ma anche la realtà del flagello che egli combatte.
Il Dottor
Mukwege ha tenuto a ricordare di essere innanzi tutto un medico, un «muganga»:
la fine del suo soggiorno è stato dedicato a consulti gratuiti nell’ospedale
Saint Joseph, a Limete dove ha potuto constatare che la sofferenza delle donne
congolesi non si limita al Kivu. Anche a Kinshasa l’epidemia dello stupro si è
diffusa, le malattie sessualmente trasmissibili sono legione. «Ormai, io
sosterrò anche le donne di Kinshasa» assicura il Kivutiano, «è inconcepibile
che in una città da 8 a 10 milioni di abitanti, non ci sia un solo «punto
focale» dove le donne disperate possano ricevere un aiuto medico, psicologico,
giuridico, insomma godere di un approccio olistico… ».
Ormai
riconosciuto e sostenuto nella capitale del suo paese, il ginecologo di Panzi
resta tuttavia un uomo inquieto, che teme per la sua vita ed è poco protetto.
Si ricorda che, lo scorso ottobre, mentre, rientrando da un viaggio dopo aver
trascorso la sua giornata all’ospedale, raggiungeva il suo domicilio, 5 uomini
armati li attendevano a casa sua, tenendo in ostaggio le sue figlie. Quando la
sua auto varcò il cancello, gli assassini aprirono il fuoco, uccidendo la
guardia che si era precipitata incontro. Per miracolo Mukwege sfuggì alla morte
e in seguito, egli trascorse 3 mesi in esilio. Ma lo scorso gennaio, non potè
restare più: tutte le donne di Bukavu pregavano per il suo ritorno, le
commercianti dell’isola di Idjui vendevano i loro ortaggi per pagargli il
viaggio aereo, le pazienti di Panzi reclamavano «papa Mukwege».
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