Come donne in nero di Padova desideriamo condividere informazioni e riflessioni intorno alla guerra.

Crediamo che la guerra mostri oggi la sua totale crudeltà e inutilità.

28 giugno 2017

Una giustizia femminista per rispondere alle molteplici violenze contro le donne


“Sono morta il 15 Agosto del 1992.
Sono viva perché ho bisogno di raccontare la verità”
Una testimone del Tribunale delle Donne di Sarajevo


APPELLO AD UNA RIFLESSIONE COMUNEpello ad una riflessione comun
Come Donne in Nero di Padova e come Rete italiana delle Donne in Nero stiamo riflettendo sulla giustizia in un’ottica femminista a partire dall’esperienza del Tribunale delle donne, svoltosi a Sarajevo nel maggio del  2015, e di altre esperienze di tribunali delle donne, anche se articolati in modo diverso e con finalità diverse. (Dopo il primo tribunale delle donne, istituito nel  1992 a Lahore in Pakistan, ne sono stati organizzati quasi 40, ricordiamo quello del 2000 a Tokio per le comfort women, nel 2001 a Città del Capo, nel 2006 a Mumbai e nel 2009 a Bangalore in India, in California nel 2012 sulla situazione delle donne povere, bianche e nere…).


Nella sessione del Tribunale di Sarajevo, a cui alcune di noi hanno partecipato, sono state presentate le testimonianze delle violenze subite dalle donne a partire dall’inizio delle guerre nei Balcani nel 1991 ad oggi. La necessità di istituire il Tribunale delle donne è stata motivata dalle risposte inefficaci e insufficienti che le donne hanno ricevuto dalle istituzioni, compreso il Tribunale internazionale de L’Aia per la Jugoslavia: infatti le donne che sono riuscite a parlare in tribunale hanno verificato l’assenza di ascolto o, per lo meno, un ascolto malevolo.
Le testimonianze delle donne hanno evidenziato e condannato il patriarcato locale e il sistema socio-economico sia durante la guerra sia dopo; è emersa infatti una continuità tra violenza durante la guerra e violenza nel dopoguerra, se durante la guerra il corpo della donna è diventato un campo di battaglia, dopo la guerra diventa una merce qualunque senza valore e superfluo nel mercato della privatizzazione. La violenza sulle donne assume dunque il significato di paradigma di ogni altra forma di violenza.
Dall’esperienza dei tribunali delle donne risulta che, in un’ottica femminista, non è sufficiente individuare i responsabili delle ingiustizie subite, ma è necessario:
- un ascolto empatico e solidale con le donne che raccontano le loro esperienze;
- il riconoscimento delle capacità di resistenza delle donne di fronte alle esperienze di violenza e alle loro conseguenze;
- l’individuazione di responsabilità collettive, strutturali, degli stati, dei governi, delle istituzioni a vari livelli, allargando lo sguardo oltre le responsabilità dei singoli mediante una riflessione comune sulla giustizia da un punto di vista femminista.
L’insufficienza della giustizia penale, che emargina e toglie voce alle vittime, e il riconoscimento dell’ingiustizia, fanno parte dell’approccio femminista alla giustizia: è la testimonianza dell’ingiustizia che deve stare al centro del procedimento, è essa a definire il reato. Ma per attuare questa nuova forma di giustizia è imprescindibile stabilire relazioni tra gruppi e singole diverse, praticare l’ascolto empatico e solidale che pone al centro l’esperienza delle donne senza atteggiamenti giudicanti, la chiamata ad una responsabilità collettiva che produce conoscenza e aumenta iniziative e azioni.

L’approccio femminista alla giustizia, nell’esperienza della ex-Jugoslavia e di altre regioni, rappresenta una esperienza preziosa, che secondo noi va raccolta e rielaborata di fronte alla violenza che le donne subiscono anche qui da noi in un tempo cosiddetto pacificato (violenza sessuale fuori e dentro la famiglia, prostituzione forzata e riduzione in schiavitù, violenza economica, violenza legata al militarismo…).

Come Donne in Nero desideriamo riflettere confrontandoci con le esperienze di chi subisce la violenza e con gli studi prodotti dalle femministe, mettendo a disposizione delle persone interessate ad approfondire queste tematiche, le nostre esperienze e i materiali scritti e video di cui disponiamo.


Donne in Nero di Padova

02 giugno 2017

SIAMO SEMPRE PIÙ IN GUERRA

La guerra continua, continuano le stragi. Non una voce si leva nelle istituzioni a chiedere pace, smilitarizzazione, disarmo; non una voce si leva nelle istituzioni a chiedere di tornare al rispetto dell'articolo 11 della Costituzione della Repubblica che ripudia la guerra.
Da chi ci governa le vittime dell'orrore in fuga dalle guerre, dalle dittature, dalla schiavitù e dalla fame sono considerate meno che persone, calpestate e maltrattate. Con i carnefici invece si fanno buoni affari, li si arma sempre più.


Come cittadine di questo paese e come donne impegnate contro guerre e militarismi seguiamo con crescente preoccupazione l’aggravarsi della partecipazione dell’Italia alle prospettive belliche volute da troppe potenze mondiali. Riteniamo perciò nostro diritto e dovere seguire con la massima attenzione le scelte del Governo italiano, e aggiornare di continuo le notizie che diffondiamo e che danno informazioni sempre più gravi.

·       Da mesi il Governo italiano sta normalizzando la guerra. Dal 31 dicembre è entrata in vigore la Legge Quadro sulle missioni militari all’estero che legalizza tutte le operazioni militari fuori dai confini nazionali in contrasto con il ripudio della guerra sancito dall’art. 11 della Costituzione.

·       A fine aprile l’Italia risultava ufficialmente impegnata in 30 missioni internazionali con 7.459 militari, con una spesa complessiva prevista per il 2017 di 1,13 miliardi di euro.

·       Purtroppo però si è saputo che il Governo degli Stati Uniti sta chiedendo ai paesi della NATO di contribuire con proprie truppe all’aumento dei militari in Afghanistan. La risposta dell’Italia sarà certamente positiva, con conseguente crescita sia della spesa per missioni all’estero sia del numero dei soldati che vi partecipano.

·       Nonostante la crisi produca pesanti tagli alle spese sociali,
l'Italia sperpera 64 milioni di euro al giorno nella spesa militare, senza contare i costi sostenuti per le missioni e per i sistemi di armamento. In più, su richiesta della Nato, l’Italia si è impegnata ad aumentare la spesa dall’1,2% al 2% del PIL, ossia a più di 100 milioni di euro al giorno.

·       Ma non basta. Le elaborazioni dell’Istituto svedese SIPRI circa le spese militari nel mondo, hanno certificato il balzo in avanti dell’Italia (+ 11% dal 2015 al 2016): il valore più alto tra i paesi europei.

·       A febbraio 2017 il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge in cui la “difesa della Patria” (art. 52 della Costituzione) viene riformulata come difesa degli “interessi vitali del Paese”. Vi si afferma il diritto di intervenire militarmente a sostegno dei propri interessi economici e strategici ovunque nel mondo si ritenga che essi siano minacciati.

·       Nello stesso periodo la Ministra della Difesa Roberta Pinotti è passata sopra la legge 185/90 che vieta la vendita di armi ai Paesi in guerra o dove non siano rispettati i diritti umani. Su queste basi la Ministra ha preparato il “Libro bianco” che definisce l’industria militare italiana pilastro del sistema Paese”.

·       Nella relazione di fine aprile sull’export di armamenti il Governo italiano si è mostrato del tutto soddisfatto di come si sta consolidando questo “pilastro”: tra il 2015 e il 2016, infatti, è quasi raddoppiato il valore delle autorizzazioni di vendite di armi all’estero (inclusi paesi che calpestano i diritti umani come l’Arabia Saudita o la Turchia).

Di recente Donald Trump ha detto “Dobbiamo ricominciare a vincere le guerre”, noi dichiariamo che dobbiamo invece ricominciare a costruire la pace.

Per dire ancora una volta, e ostinatamente,
NO alle armi, NO alle guerre,
non in nostro nome!
saremo in piazzetta Garzeria a Padova mercoledì 7 giugno alle 18