“Sono
morta il 15 Agosto del 1992.
Sono
viva perché ho bisogno di raccontare la verità”
Una testimone del Tribunale delle Donne di Sarajevo
APPELLO AD UNA RIFLESSIONE COMUNEpello
ad una riflessione comun
Come Donne in Nero di Padova e come Rete italiana
delle Donne in Nero stiamo riflettendo sulla giustizia in un’ottica femminista
a partire dall’esperienza del Tribunale delle donne, svoltosi a Sarajevo nel
maggio del 2015, e di altre esperienze
di tribunali delle donne, anche se articolati in modo diverso e con finalità
diverse. (Dopo il primo tribunale delle donne, istituito nel 1992 a Lahore in Pakistan, ne sono stati
organizzati quasi 40, ricordiamo quello del 2000 a Tokio per le comfort women, nel 2001 a Città del
Capo, nel 2006 a Mumbai e nel 2009 a Bangalore in India, in California nel 2012
sulla situazione delle donne povere, bianche e nere…).
Nella sessione del Tribunale di Sarajevo, a cui alcune
di noi hanno partecipato, sono state presentate le testimonianze delle violenze
subite dalle donne a partire dall’inizio delle guerre nei Balcani nel 1991 ad
oggi. La necessità di istituire il Tribunale delle donne è stata motivata dalle
risposte inefficaci e insufficienti che le donne hanno ricevuto dalle
istituzioni, compreso il Tribunale internazionale de L’Aia per la Jugoslavia:
infatti le donne che sono riuscite a parlare in tribunale hanno verificato l’assenza
di ascolto o, per lo meno, un ascolto malevolo.
Le testimonianze delle donne hanno evidenziato e
condannato il patriarcato locale e il sistema socio-economico sia durante la
guerra sia dopo; è emersa infatti una continuità tra violenza durante la guerra
e violenza nel dopoguerra, se durante la guerra il corpo della donna è
diventato un campo di battaglia, dopo la guerra diventa una merce qualunque
senza valore e superfluo nel mercato della privatizzazione. La violenza sulle
donne assume dunque il significato di paradigma di ogni altra forma di
violenza.
Dall’esperienza dei tribunali delle donne risulta che,
in un’ottica femminista, non è sufficiente individuare i responsabili delle
ingiustizie subite, ma è necessario:
- un ascolto empatico e solidale con le donne che
raccontano le loro esperienze;
- il riconoscimento delle capacità di resistenza delle
donne di fronte alle esperienze di violenza e alle loro conseguenze;
- l’individuazione di responsabilità collettive, strutturali,
degli stati, dei governi, delle istituzioni a vari livelli, allargando lo sguardo
oltre le responsabilità dei singoli mediante una riflessione comune sulla
giustizia da un punto di vista femminista.
L’insufficienza della giustizia penale, che emargina e
toglie voce alle vittime, e il riconoscimento dell’ingiustizia, fanno parte dell’approccio
femminista alla giustizia: è la testimonianza dell’ingiustizia che deve stare
al centro del procedimento, è essa a definire il reato. Ma per attuare questa
nuova forma di giustizia è imprescindibile stabilire relazioni tra gruppi e
singole diverse, praticare l’ascolto empatico e solidale che pone al centro
l’esperienza delle donne senza atteggiamenti giudicanti, la chiamata ad una
responsabilità collettiva che produce conoscenza e aumenta iniziative e azioni.
L’approccio
femminista alla giustizia, nell’esperienza della ex-Jugoslavia e di altre
regioni, rappresenta una esperienza preziosa, che secondo noi va raccolta e
rielaborata di fronte alla violenza che le donne subiscono anche qui da noi in
un tempo cosiddetto pacificato (violenza sessuale fuori e dentro la famiglia,
prostituzione forzata e riduzione in schiavitù, violenza economica, violenza
legata al militarismo…).
Come Donne in Nero desideriamo riflettere
confrontandoci con le esperienze di chi subisce la violenza e con gli studi prodotti
dalle femministe, mettendo a disposizione delle persone interessate ad
approfondire queste tematiche, le nostre esperienze e i materiali scritti e
video di cui disponiamo.
Donne in Nero di Padova
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