“Il passato non è mai soltanto il passato.
Può essere il nostro presente o addirittura il nostro futuro: tutto dipende dal
modo in cui ce ne occupiamo…. Se cerchiamo di seppellire quanto è avvenuto, di
dimenticarlo, non faremo altro che aiutarlo a tornare per ricordarci che è
ancora vivo e vegeto”.
Queste sono parole di Dasa Drndic, una scrittrice croata che in un
libro intitolato “Trieste”, narrando storie ambientate a Trieste
durante la seconda guerra mondiale, affronta il tema della memoria e della
responsabilità.
Sono parole adatte
a ricordare l'anniversario del genocidio di Srebrenica, il più grande crimine
commesso sul territorio europeo dopo la seconda guerra mondiale. Nel luglio
1995, forze armate della Repubblica Srpska, comandate da Ratko Mladić, attualmente
sotto processo all’Aja, occuparono Srebrenica, che in quell’epoca era una città
che doveva essere protetta dalle Nazioni Unite, una città sotto assedio da 3
anni, affamata e bombardata.
Il regime di Milošević procurò assistenza
militare, logistica, finanziaria e politica alle forze serbo-bosniache.
Secondo le statistiche ufficiali furono
uccisi 8.372 ragazzi e uomini musulmani-bosniaci, mentre 30.000 donne, bambini
e anziani furono deportati; le famiglie continuano a cercare i resti di circa
10.000 persone.
Complici di questo massacro oltre alle
Nazioni Unite anche Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna che, pur essendo al
corrente dell’intenzione di Mladic di far scomparire completamente la
popolazione bosniaca musulmana dall’intera regione, scelsero di sacrificare
Srebrenica per arrivare alla pace con i serbi.
Ma non c’è pace senza giustizia e resta
ancora molta strada da fare per vivere in pace.
Oggi a Potocari, nel luogo dove risiedevano i
caschi blu che avrebbero dovuto proteggere la popolazione musulmana che invece
consegnarono ai militari serbi, sorge un memoriale dove le madri hanno deciso
di seppellire i loro figli tutti insieme, nel luogo dove li avevano visti vivi per
l’ultima volta.
Vogliamo esprimere la nostra
solidarietà alle persone sopravvissute, perché il loro dolore venga
riconosciuto e i loro diritti rispettati, per esigere che si continui a cercare
giustizia senza farsi condizionare da calcoli politici, perché tutti si assumano
le loro responsabilità, anche noi che spesso rischiamo di essere spettatori di
fronte alle tragedie che continuano a insanguinare il mondo e che ci chiedono
di prendere posizione.
Come ha detto una donna bosniaca che ha perso
un figlio e una figlia, torturati e uccisi:
“Oggi mi batto per la pace e la giustizia.
Finché vivo mi batterò contro l’odio”
Donne in Nero di Belgrado in piazza
per ricordare le 8377 vittime del genocidio
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