Continuano gli sbarchi.
All'Università estiva, Karim Hannachi apre il suo intervento su "immigrazione fra discriminazione e intergrazione", con il poema "Arriverò comunque"
Arriverò comunque
Sfuggo dalla siccità, dalle privazioni
dalla fame,
dalle guerre civili e incivili,
dall’inferno,
da una terra senza futuro e senza sogni.
Vendo il mio corpo
a poco prezzo,
a chiunque,
per comprare un sogno.
Dopo duemila chilometri di sabbia,
di sole e di freddo,
di cimiteri,
il sogno annebbiato e confuso
s’intravede all’orizzonte,
mentre sull’altra riva
iniziano i festeggiamenti del Natale.
Ora, coperta da un lembo di cielo,
sto attraversando quel lembo di mare
che separa il sogno dalla realtà,
l’inferno dal paradiso,
gli uni dagli altri,
noi da loro;
che separa l’Africa dall’Europa
e l’Oriente dall’Occidente.
Sto attraversando quel maledetto Mediterraneo,
cimitero della libertà,
fosse comune per nascondere la vergogna della civiltà,
discarica del vostro benessere,
e fonte delle vostre delizie.
Sto attraversando l’ultimo ostacolo
di questa folle corsa ad ostacoli
con altri quaranta sognatori,
su un vecchio gommone
che può portare solo dieci,
in balia alle onde.
Ma i nostri sogni non temono le onde
e nemmeno i cimiteri.
Non importano la sete e la fame,
non importano le sofferenze,
domani saranno lontani ricordi.
Non importano le ferite,
domani saranno cicatrici.
E comunque,
i morti non hanno paura della morte.
Domani o dopodomani arriverò da voi
per raccogliere i brandelli del mio corpo,
per rinascere
e incominciare a scrivere la mia vera storia,
e forse per condividere con voi il paradiso,
o almeno la cena di Natale.
Ad un tratto,
mi trovo avvolta nelle tenebre profonde
illuminate da mille occhiolini luccicanti
che iniziano a fare festa del mio corpo
prima di finire sui tavoli della vostra festa.
(Abdelkarim Hannachi, 15/10/09)
Continuano gli sbarchi.
All'Università estiva, Karim Hannachi apre il suo intervento su "immigrazione fra discriminazione e intergrazione", con il poema "Arriverò comunque"
Arriverò comunque
Sfuggo dalla siccità, dalle privazioni
dalla fame,
dalle guerre civili e incivili,
dall’inferno,
da una terra senza futuro e senza sogni.
Vendo il mio corpo
a poco prezzo,
a chiunque,
per comprare un sogno.
Dopo duemila chilometri di sabbia,
di sole e di freddo,
di cimiteri,
il sogno annebbiato e confuso
s’intravede all’orizzonte,
mentre sull’altra riva
iniziano i festeggiamenti del Natale.
Ora, coperta da un lembo di cielo,
sto attraversando quel lembo di mare
che separa il sogno dalla realtà,
l’inferno dal paradiso,
gli uni dagli altri,
noi da loro;
che separa l’Africa dall’Europa
e l’Oriente dall’Occidente.
Sto attraversando quel maledetto Mediterraneo,
cimitero della libertà,
fosse comune per nascondere la vergogna della civiltà,
discarica del vostro benessere,
e fonte delle vostre delizie.
Sto attraversando l’ultimo ostacolo
di questa folle corsa ad ostacoli
con altri quaranta sognatori,
su un vecchio gommone
che può portare solo dieci,
in balia alle onde.
Ma i nostri sogni non temono le onde
e nemmeno i cimiteri.
Non importano la sete e la fame,
non importano le sofferenze,
domani saranno lontani ricordi.
Non importano le ferite,
domani saranno cicatrici.
E comunque,
i morti non hanno paura della morte.
Domani o dopodomani arriverò da voi
per raccogliere i brandelli del mio corpo,
per rinascere
e incominciare a scrivere la mia vera storia,
e forse per condividere con voi il paradiso,
o almeno la cena di Natale.
Ad un tratto,
mi trovo avvolta nelle tenebre profonde
illuminate da mille occhiolini luccicanti
che iniziano a fare festa del mio corpo
prima di finire sui tavoli della vostra festa.
(Abdelkarim Hannachi, 15/10/09)
Sfuggo dalla siccità, dalle privazioni
dalla fame,
dalle guerre civili e incivili,
dall’inferno,
da una terra senza futuro e senza sogni.
Vendo il mio corpo
a poco prezzo,
a chiunque,
per comprare un sogno.
Dopo duemila chilometri di sabbia,
di sole e di freddo,
di cimiteri,
il sogno annebbiato e confuso
s’intravede all’orizzonte,
mentre sull’altra riva
iniziano i festeggiamenti del Natale.
Ora, coperta da un lembo di cielo,
sto attraversando quel lembo di mare
che separa il sogno dalla realtà,
l’inferno dal paradiso,
gli uni dagli altri,
noi da loro;
che separa l’Africa dall’Europa
e l’Oriente dall’Occidente.
Sto attraversando quel maledetto Mediterraneo,
cimitero della libertà,
fosse comune per nascondere la vergogna della civiltà,
discarica del vostro benessere,
e fonte delle vostre delizie.
Sto attraversando l’ultimo ostacolo
di questa folle corsa ad ostacoli
con altri quaranta sognatori,
su un vecchio gommone
che può portare solo dieci,
in balia alle onde.
Ma i nostri sogni non temono le onde
e nemmeno i cimiteri.
Non importano la sete e la fame,
non importano le sofferenze,
domani saranno lontani ricordi.
Non importano le ferite,
domani saranno cicatrici.
E comunque,
i morti non hanno paura della morte.
Domani o dopodomani arriverò da voi
per raccogliere i brandelli del mio corpo,
per rinascere
e incominciare a scrivere la mia vera storia,
e forse per condividere con voi il paradiso,
o almeno la cena di Natale.
Ad un tratto,
mi trovo avvolta nelle tenebre profonde
illuminate da mille occhiolini luccicanti
che iniziano a fare festa del mio corpo
prima di finire sui tavoli della vostra festa.
(Abdelkarim Hannachi, 15/10/09)
Nessun commento:
Posta un commento