https://www.pressenza.com/it/2017/09/un-pianeta-illegale/
Ci sembra che tracci con chiarezza la realtà odierna delle migrazioni e smascheri l'ipocrisia, l'inettitudine e la crudeltà delle classi politiche europee.
Chi sono le persone chiuse negli inferni libici?
Quante sono? Quante donne, quanti bambini? Quali sono le loro condizioni?
Vengono rispettati i loro diritti? Hanno voce per parlare? Possono le
organizzazioni umanitarie visitarle? A quanto sappiamo, a quanto abbiamo visto
anche solo con i Cie qui in Italia, queste sono tutte domande retoriche. Lì non
si entra, sono luoghi off limits. Questa è la tremenda illegalità che per prima
va rifiutata. Lì accade di tutto e tutto il mondo lo sa.
A questo punto dobbiamo andare oltre la sacrosanta e
inascoltata richiesta di aprire corridoi umanitari, che anche con la nostra
Rete femminista “No muri, no recinti” abbiamo da tempo indirizzato alle
commissioni europee. Adesso tutte le associazioni e i gruppi di solidarietà con
i migranti dovrebbero unirsi per fermare l’orrore del patto disumano negoziato
dall’Europa sulla pelle di milioni di profughi innocenti. Dietro l’ipocrisia
del finto aiuto a casa loro, quello che li aspetta nei fatti è un enorme campo
di reclusione pagato a suon di miliardi. I criminali carcerieri di ieri
trasformati oggi in giudici e custodi, autorizzati dalla comunità internazionale.
Oltre alla Libia e ieri la Turchia, anche il Niger e il Ciad si sono messi in
fila alla cassa europea per riscuotere il prezzo di una vera e propria taglia
sulla testa del popolo migrante.
Sembra un brutto sogno, ma purtroppo è una devastante
realtà, incluso ciò che avviene a casa nostra, nelle nostre strade e nelle
nostre piazze. Quelle donne brutalmente colpite, quei bambini, quegli uomini
disperati non sono comparse, utili ad alimentare la bulimia di commentatori
politici sempre in onda, con occhi vuoti da robot addestrati alla guerra contro
chi non possiede nulla se non il proprio fragile corpo. Ma gli esseri umani
questo sono: infinitamente fragili e vulnerabili. Non occorre l’uragano Harvey
per saperlo. Basta molto meno. Quelle donne, quei bambini, quei disperati
grandeggiano proprio perché nella loro esposta fragilità sono pienamente umani,
come forse noi non riusciamo a essere più.
Noi chi? C’è dunque un ‘noi’, c’è dunque un ‘loro’?
Queste categorie che segnano la frontiera dell’umanità ci stanno avvelenando
nel profondo. Ogni volta che i nomi scompaiono, che le singole vite s’ingolfano
nella moltitudine indistinta che ci guarda e che senza vedere guardiamo,
perdendo la possibilità della relazione fra persone perdiamo il senso
dell’esistere. Anche così nascono le guerre.
Dobbiamo invece guardarle ad una ad una le persone
schiacciate a terra come insetti sotto il getto violento degli idranti. Di
fronte al potente alibi della legalità invocata come unico metro di valore e di
giudizio, corpi, vite e storie arretrano, scomparendo in un’ombra anonima, ma
quegli esseri umani abbattuti dagli idranti perché “illegali” sono profughi
eritrei ed etiopi che avremmo dovuto accogliere in maniera dignitosa secondo le
leggi e le norme internazionali sui diritti umani. Non lo abbiamo fatto.
Abbandonati a se stessi, dove avrebbero dovuto mettersi a dormire, dove
lavarsi, dove cucinarsi un pasto? Noi dunque li abbiamo resi “illegali”, così
come siamo noi a rendere “clandestini” i migranti cosiddetti economici avendo chiuso
ogni canale regolare di accesso.
Insomma, stiamo spingendo una marea crescente di
persone in una sfera forzata di illegalità, tra i “reietti dell’altro pianeta”,
come quelli che Ursula K. LeGuin ha descritto nei suoi libri visionari,
anticipando la realtà a venire. Se salvare vite umane è illegale, se accogliere
chi fugge dalla miseria, dalla fame e dalle malattie è illegale, se voler dare
un tetto a chiunque non ce l’abbia è illegale, se volersi sottrarre allo
sfruttamento delle multinazionali è illegale, se volersi riappropriare dei beni
comuni è illegale, se accettare il nomadismo come una delle mille forme di
libertà è illegale, se aprire le frontiere è illegale, allora quella che
chiamano oggi illegalità si rivela invece un ultimo spazio di giustizia, di
umanità e di libertà.
Forse, come hanno tentato di fare con le Ong
additandole al pubblico sospetto, zelanti autorità di governo italiane ed
europee cercheranno di spingere in quella sfera di pretesa illegalità anche
tutti coloro che volendo “restare umani” decidono di disobbedire alle strategie
progettate per chiudere la nostra parte di mondo in un recinto protetto. Di qua
i “legali”, di là gli “illegali”, ossia i poveri, i reietti, ma anche i
disubbidienti, in attesa di avere a disposizione un pianeta-colonia dove
esiliarli.
Se sono questi gli scenari che si profilano, prende
sempre più senso partire dalla straordinaria capacità delle donne di saper
abbattere i recinti millenari in cui sono state costrette e di continuare a
farlo da capo ogni volta che il sistema tenta di ricostruirli. Tutto è
collegato in questo neoliberismo patriarcale costruito sul dominio che
schiaccia e omologa. La violenza sui corpi delle donne, la violenza sui
migranti, la violenza sui poveri e sui diversi. Ai suoi mille tavoli sparsi nel
mondo, nelle partecipatissime assemblee, la magnifica marea di NiUnaMenos ha
saputo con forza denunciarne le cause e svelarne gli intrecci. In mille realtà
locali le donne nelle associazioni lavorano a una vera accoglienza, oltre i
divieti e le chiusure, oltre le paure, oltre le frontiere.
“No muri, no recinti” abbiamo gridato, parlando non
solo di noi stesse, ma di ogni creatura e di tutte le diversità. Ora però
dobbiamo aggiungere molto altro. No patti con dittatori, capibanda e signori
delle guerre. No lager africani. No soldi per coprire violenze, stupri e
torture. No rapine delle risorse nel sud del mondo. No produzione e commercio
di armi. Perché tutto questo sì che è illegalità, quella vera e globale.
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