La pandemia ci ha fatto scoprire quanto siamo fragili e vulnerabili, e di questa
malattia sappiamo ancora molto poco. Tutto questo ha generato catastrofi
sanitarie, ma ci sono anche i casi di governanti – come Trump o Bolsonaro o Netaniahu – che non hanno voluto vedere la gravità del problema e per arroganza, presunzione,
dispotismo, non hanno voluto prendere per tempo le misure che erano state consigliate, pur
disponendo di grandi mezzi. La situazione, in molti paesi, era già pesante, ma è ancora peggiorata.
Al dramma delle troppe persone decedute, si accompagna l’aggravarsi delle disparità in tutti i paesi tra persone e fasce della popolazione sempre più in difficoltà e altre sempre più abbienti.
Troviamo un dato a livello mondiale nel rapporto Oxfam “Il virus della fame. L’impatto del coronavirus su un mondo già affamato”1: in conseguenza del confinamento in agricoltura è stata stravolta la possibilità di semina, trattamento dei campi e raccolta dei prodotti, al punto che circa 100 milioni di persone sono state private della loro principale fonte di reddito. Una conseguenza segnalata dal rapporto è che a essere esposte al rischio di morte per fame sono in primo luogo le donne e le famiglie che dipendono da loro: esse si dedicano soprattutto a colture di sussistenza e la pandemia ha accentuato una vulnerabilità già esistente, dovuta alle discriminazioni per cui guadagnano meno e posseggono meno beni rispetto agli uomini.
Anche in Italia, sia sul piano economico, sia dal punto di vista della possibilità di accesso a servizi e beni si sono aggravate le disuguaglianze: molte famiglie, molte persone non hanno risorse sufficienti per poter vivere diversi mesi senza reddito, e continuano ad affollare centri per la distribuzione di cibo; un terzo degli studenti non ha avuto possibilità di seguire la didattica a distanza e avrà sempre più difficoltà nella costruzione del proprio futuro; molte altre persone, con magri proventi di lavoro nero o occasionale, sono diventate invisibili ed escluse da ogni piano che le ricomprenda.
Nei mesi scorsi tanti e tante hanno detto che dopo la pandemia bisognava tornare alla normalità: ma quale normalità? Da molti anni ha significato tagliare gli investimenti nella sanità pubblica, nella previdenza, nell’assistenza, nell’istruzione. E nello stesso tempo ha invece fatto destinare sempre più denaro alla produzione e al commercio di armamenti, alle missioni militari, all’ammodernamento delle attrezzature belliche (circa 26 miliardi di spese militari per il 2020).
Quelli che prima erano i problemi della “normalità” si sono oggi esacerbati e sono diventati anche più evidenti; non è a quella “normalità” che vogliamo tornare, anzi vogliamo adoperarci perché niente sia più come prima: non abbiamo bisogno di una sicurezza armata, ma di una sicurezza che sia difesa e cura della vita.
PRIMA LA VITA, PER TUTTE E TUTTI INSIEME, SICURE/I IN UNA TERRA LIBERATA DALLO SFRUTTAMENTO DELLE RISORSE, DALL’INQUINAMENTO, DA TUTTE LE ARMI.
Donne in Nero della Casa delle Donne di Torino
Al dramma delle troppe persone decedute, si accompagna l’aggravarsi delle disparità in tutti i paesi tra persone e fasce della popolazione sempre più in difficoltà e altre sempre più abbienti.
Troviamo un dato a livello mondiale nel rapporto Oxfam “Il virus della fame. L’impatto del coronavirus su un mondo già affamato”1: in conseguenza del confinamento in agricoltura è stata stravolta la possibilità di semina, trattamento dei campi e raccolta dei prodotti, al punto che circa 100 milioni di persone sono state private della loro principale fonte di reddito. Una conseguenza segnalata dal rapporto è che a essere esposte al rischio di morte per fame sono in primo luogo le donne e le famiglie che dipendono da loro: esse si dedicano soprattutto a colture di sussistenza e la pandemia ha accentuato una vulnerabilità già esistente, dovuta alle discriminazioni per cui guadagnano meno e posseggono meno beni rispetto agli uomini.
Anche in Italia, sia sul piano economico, sia dal punto di vista della possibilità di accesso a servizi e beni si sono aggravate le disuguaglianze: molte famiglie, molte persone non hanno risorse sufficienti per poter vivere diversi mesi senza reddito, e continuano ad affollare centri per la distribuzione di cibo; un terzo degli studenti non ha avuto possibilità di seguire la didattica a distanza e avrà sempre più difficoltà nella costruzione del proprio futuro; molte altre persone, con magri proventi di lavoro nero o occasionale, sono diventate invisibili ed escluse da ogni piano che le ricomprenda.
Nei mesi scorsi tanti e tante hanno detto che dopo la pandemia bisognava tornare alla normalità: ma quale normalità? Da molti anni ha significato tagliare gli investimenti nella sanità pubblica, nella previdenza, nell’assistenza, nell’istruzione. E nello stesso tempo ha invece fatto destinare sempre più denaro alla produzione e al commercio di armamenti, alle missioni militari, all’ammodernamento delle attrezzature belliche (circa 26 miliardi di spese militari per il 2020).
Quelli che prima erano i problemi della “normalità” si sono oggi esacerbati e sono diventati anche più evidenti; non è a quella “normalità” che vogliamo tornare, anzi vogliamo adoperarci perché niente sia più come prima: non abbiamo bisogno di una sicurezza armata, ma di una sicurezza che sia difesa e cura della vita.
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Donne in Nero della Casa delle Donne di Torino
1 https://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2020/07/Report_IL-VIRUS-DELLA-FAME.pdf
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