Come donne in nero di Padova desideriamo condividere informazioni e riflessioni intorno alla guerra.

Crediamo che la guerra mostri oggi la sua totale crudeltà e inutilità.

24 giugno 2010

Per pensare alla Militarizzazione

Introduzione all'incontro del 26-27 giugno 2010 a Padova


 

"A lungo rimossa, considerata un tema storicamente superato, collettivamente tabuizzata, la guerra di nuovo ci accompagna e, seppure in uno scenario profondamente mutato, è stata riabilitata.(…) Nel mondo occidentale si è sviluppata e istituzionalizzata una cultura della pace: la guerra che si muove in nome delle vittime è una buona azione, una guerra di pace"

Nicole Janigro


 

"Non vedo nessun'altra soluzione, veramente non ne vedo nessun'altra che quella di raccoglierci in noi stessi e di strappare via il nostro marciume. Non credo più che si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza aver prima fatto la nostra parte dentro di noi. E' l'unica lezione di queta guerra: dobbiamo cercare in noi stessi, non altrove."

Etty Hillesum


 

Volendo introdurre questo incontro ci siamo rese conto che il tema "militarizzazione" – individuato ad Orbetello come un tema da tutte sentito come prioritario - è estremamente vasto e complesso.

Anna Valente nella sintesi aveva scritto:
"Di militarizzazione abbiamo cominciato a parlare molto presto, e il tema ci ha accompagnate per tutto il tempo. Per militarizzazione non intendiamo solo la presenza di militari, armi, basi – che certo non dimentichiamo, dagli F-35 a Vicenza, a Napoli -; pensiamo anche alla militarizzazione dei territori e delle menti, l'occupazione degli spazi – fisici e no -, la repressione delle libertà, la sparizione delle priorità sociali".

Un'osservazione innanzi tutto: è dall'incontro di Valencia che continuiamo a riproporre questo tema; ne abbiamo discusso in più occasioni, c'è stato un incontro specifico a Napoli nel 2008, se ne è discusso anche a Torino nel 2009, abbiamo organizzato una manifestazione a Vicenza con le donne della città, eppure non siamo riuscite ad abbozzare una proposta che coinvolgesse tutti i gruppi in un lavoro comune per approfondire, attualizzare, concretizzare, comunicare la militarizzazione.


 

L'incontro di oggi si pone l'obiettivo di preparare un incontro nazionale che risponda a queste esigenze. Dobbiamo quindi cercare di individuare alcuni aspetti di questo tema vasto e complesso che ci sembrino prioritari su cui concentrarci.


 

Nel tentativo di articolare delle proposte di lavoro vogliamo tenere presente quanto avevano scritto le DiN di Udine sulla necessità di un ripensamento del nostro essere Donne in Nero alla luce dei cambiamenti socio-politici-economici dell'ultimo decennio:

"Gli eventi che hanno riguardato il nostro paese nell'ultimo decennio - dal crescente coinvolgimento nelle guerre globali all'avvento di una destra di governo autoritaria e razzista, dal progressivo deteriorarsi del sistema della rappresentanza al liquefarsi dei partiti della sinistra -  ci pare abbiano segnato la fine di un ciclo, di cui come DiN dovremmo prendere atto. La nostra nascita come movimento è avvenuta in un contesto storico diverso. Le prospettive politiche e le convinzioni che ci animavano negli anni '90 del Novecento, le pratiche, i linguaggi, gli stessi slogan usati nelle manifestazioni di piazza sono ancora validi in uno scenario così radicalmente mutato? Non andrebbe riconsiderato, problematizzato, arricchito, comunque discusso il nostro profilo? Ci sembra che all'interno della Rete italiana manchi l'esigenza di una analisi su un percorso compiuto, come se il nostro esistere potesse esprimersi attraverso l'inerzia e la riproposizione del noto e del già sperimentato". 


 

Vogliamo tentare di porre degli interrogativi, per capire quali sono più urgenti e su cosa ci dobbiamo soffermare, consapevoli della necessità di comunicare e mettere a confronto le nostre riflessioni e proposte con quelle che verranno da altre, ad es. le donne di Napoli, Roma e L'Aquila, che si riuniranno il 6 luglio sempre in preparazione dell'incontro nazionale, e le donne di Ravenna che stanno lavorando sul "militarismo, con un'ottica alle trasformazioni prodotte dalla globalizzazione e dal liberismo e con una nuova attenzione al discorso sui 'beni comuni' fra cui noi mettiamo anche la pace" e continuando a seguire il discorso sulle spese militari con le ricadute sulle spese sociali.


 

La nostra proposta di lavoro è:

1. dedicare questo sabato pomeriggio a comunicarci le nostre analisi su vari aspetti del tema generale e su esperienze di contrasto alla militarizzazione;

2. domenica concentrarci sulle pratiche e su percorsi possibili per noi Donne in Nero.

Per introdurci nel tema abbiamo preparato una serie di interrogativi che ci aiutino nella discussione. Siamo consapevoli che questo elenco è sicuramente parziale e incompleto, ma pensiamo possa essere utile per iniziare:


 

- Come sono cambiate la guerra, il ruolo degli eserciti e la percezione della guerra?

Scrive Mariolina: "Gli attuali eserciti sono sempre più complessi e tecnicamente sofisticati. Per ogni singolo combattente ce ne devono essere altri 9 o 10 (12 o 13 per un tiratore scelto) che garantiscono logistica, infrastruttura, mantenimento, ricambi in prima linea. Su un'armata di 300.000 uomini 30.000 tra loro vanno realmente in combattimento, mentre tutti gli altri sono impegnati ad assicurare il funzionamento dell'umana macchina bellica. Inoltre le attuali guerre presuppongono contemporaneamente l'uso spropositato della forza e l'immediato intervento umanitario, politico, psicologico, commerciale. E' la guerra preventiva, eterna, umanitaria teorizzata dai neocons e theocons".

In un recente articolo di Danilo Zolo su Il Manifesto, recensendo l'ultimo libro di Alessandro Dal Lago – Le nostre guerre (1) – si parla di "processo di normalizzazione della guerra": "L'industria della morte collettiva si è fatta più che mai fiorente e redditizia. La produzione e il traffico delle armi, inclusi gli ordigni nucleari, sono sottratti a qualsiasi controllo della cosiddetta «comunità internazionale». E l'uso delle armi dipende sempre più dalle decisioni che le grandi potenze occidentali prendono ad libitum, secondo le proprie convenienze strategiche. 
In questi anni, sentenze di morte collettiva sono state emesse nella più assoluta impunità contro migliaia di persone non responsabili di alcun illecito penale, né di alcuna colpa morale". Chi vive in Occidente – continua l'autore - lontano dai luoghi di conflitto armato, non vede le sofferenze altrui, il martirio di intere popolazioni ed ha una consapevolezza pressoché nulla nei confronti delle responsabilità politiche delle potenze occidentali che scatenano le guerre.

La guerra ha quindi molte facce a seconda di chi la fa, da dove la si guarda, da come ci viene comunicata dai media. Tanto più considerando la caratteristica dell'asimmetria delle guerre globali di oggi: l'uso di armi di distruzione di massa sempre più sofisticate e potenti ha reso soverchiante il potere distruttivo degli aggressori e sottratto agli aggrediti ogni speranza di salvezza, anche se i conflitti rimangono insoluti e senza vincitori.


 

- Esiste una continuità tra le politiche della sicurezza e quelle militari? C'è mescolanza tra ambiti e competenze civili e militari nelle nostre città e nelle guerre?

Il processo di costruzione del nemico, necessario per scatenare un conflitto armato, viene messo in atto anche all'interno delle nostre società come modalità di gestione dei conflitti sociali (vedi la trasformazione del migrante da "straniero" a "clandestino" e quindi "criminale" e "nemico").

Anche l'uso privilegiato della violenza e della pulizia etnica di fronte a situazioni conflittuali si trasferisce dal globale al locale.


 

- Cosa significa militarizzazione del territorio, delle risorse naturali, della società, delle menti?

Intanto cosa vuol dire "militarizzazione" e cosa vuol dire "militarismo"? Quando possiamo dire che un territorio, una società sono militarizzati?

[Dallo Zingarelli:
militare = relativo alla milizia, ai soldati e alle forze armate; militarismo = esasperazione dello spirito e del formalismo militare; preponderanza dei militari e dello spirito militare nella vita di uno stato; militarizzazione = effetto del militarizzare, sottoporre a disciplina militare…, organizzare con sistemi militari, dotare di installazioni e strutture militari. Dal Devoto Oli: militare = attinente all'ambito strutturale e operativo delle forze armate; militarismo = l'asservimento della vita politica e delle funzioni e dei rapporti sociali e culturali agli schemi di una visione militare; atteggiamento nazionalistico che ritenga la guerra mezzo insìdispensabile a conseguire il prestigio politico nel mondo; militarizzazione = inserimento in un quadro costituito in base a esigenze o metodi di ordine militare]

Le spese militari italiane (missioni all'estero come l'Afghanistan, armamenti come F-35 ecc.), l'appartenenza alla NATO, la presenza di basi militari NATO o USA (anche con testate nucleari), la produzione e il commercio di armi, sono effetti o causa della militarizzazione? O entrambi?          

                                                       
 

- Donne, guerra, militarizzazione: quali connessioni? qual è la situazione attuale?

In un nostro intervento nel 2008 scrivevamo:

"La guerra sia che la subiamo sia che la facciamo, ci riguarda in quanto donne. Non solo perché le vittime delle guerre e delle sue conseguenze dirette e indirette, sia nella fase acuta sia nel post-guerra, sono moltissimo le donne (non occorre arrivare agli stupri etnici, basta la fatica nel creare, ricreare, mantenere la quotidianità, il minimo tessuto sociale della comunità), ma soprattutto perché la guerra, come modalità di risolvere i conflitti con la forza, è la più estrema espressione della struttura e cultura patriarcale (e questo sia per le sue modalità sia per come ne vengono costruite le premesse con la creazione del nemico di turno, il "diverso" da "noi"). Per questo le donne sono "estranee" alle strategie delle guerre. Analizzando le guerre dei nostri giorni, le donne in generale non sono guerrafondaie, ma nemmeno più pacifiste degli uomini, ma quello che emerge è proprio l'estraneità alle scelte, alle tematiche di guerra per la maggioranza delle donne; le eccezioni, che pur non si devono nascondere, assumono come proprio il modello maschile (la madre dell'eroe, la ragazza che vuole entrare nei reparti di combattimento…). Insomma tutta la storia, e in particolare le storie delle donne nelle guerre di questi ultimi anni, ci ricordano che nelle guerre le donne sono destinate a scomparire, o relegate ad un ruolo di riproduttrici di figli per la patria e di mogli di combattenti, o usate come corpi che forniscono piacere all'occupante ed anche all'occupato, o stuprate in maniera pianificata per la pulizia etnica, o quantomeno, se coinvolte direttamente nella gestione del conflitto, costrette a rimandare le loro rivendicazioni ad un futuro migliore indefinito. Tutto questo è stato ed è sotto i nostri occhi in Algeria, in Jugoslavia, in Afghanistan, in Palestina, in Iraq, in Cecenia, in Colombia, in tutte le guerre dell'Africa."

E ancora: "La scelta di stare dalla parte delle donne o meglio di privilegiare il loro punto di vista di genere, nasce dunque in primo luogo da queste considerazioni, dalla consapevolezza che la guerra come arma di risoluzione dei conflitti, economici, politici o etnici, usa le donne come oggetti contro il nemico riducendole in una situazione di totale controllo. Ma questa scelta di stare dalla parte delle donne è dovuta anche al riconoscimento della loro capacità, dimostrata in questi anni, di costruire dei ponti con altre donne, di superare i confini e di agire nei conflitti per cercare di trovare ciò che unisce, ciò che può essere un punto di partenza per ricostruire le relazioni delle società civili nei luoghi che sono attraversati da conflitti violenti, opponendosi con forza alla guerra e al militarismo, rifiutando la logica delle armi, del nazionalismo, della militarizzazione delle società, scegliendo di parlare in prima persona, assumendosi una responsabilità individuale di resistenza alla guerra e a tutto ciò che comporta in termini di distruzione, odio, esclusione".

Condividiamo ancora questa analisi? E' ancora valida o superata? Perché?


 

- Quali le nostre pratiche di Donne in Nero in relazione a questi temi?

Le difficoltà attuali si inseriscono nella crisi generale dei movimenti pacifisti, a nostro avviso riconducibile a più fattori, tra cui ci paiono importanti da una parte il senso di sconfitta dopo la guerra contro l'Iraq, dall'altra il non essere riusciti a creare consenso duraturo intorno ai loro principi, e soprattutto il deterioramento del clima politico e culturale.

Rileggendo con attenzione dei testi che ci sono parsi molto significativi [La specificità di genere nell'opposizione alla guerra di Enrica Panero, Laura Poli e Paola Porceddu in

La guerra non ci da pace, a cura di Carla Colombella, SEB27, Torino 2007; La rete delle Donne in Nero: tra capacità e limiti, tra locale e globale di Elisabetta
Donini in La nonviolenza delle donne, a cura di Giovanna Providenti, Libreria Editrice Fiorentina, 2006, e una raccolta di testi di Donne in Nero curata dalle Donne in Nero di Torino (2)], ci chiediamo:

- che cosa del pensiero e delle pratiche delle Donne in Nero rimane nei nostri gruppi?

- questo pensiero e queste pratiche sono davvero superati o li abbiamo svuotati del loro significato originale?

- quali altre pratiche più efficaci nel mutato contesto socio-politico-culturale proponiamo?

[Dalla sintesi di Orbetello: come declinare le azioni politiche in questo contesto cambiato? Ecco alcune indicazioni emerse dal dibattito, anche se potranno sembrare approcci particolari, parziali, possono essere utili:

- Sostenerci a vicenda: fare rete, cioè avere temi generali condivisi e azioni politiche specifiche a livello locale.

- Scegliere obiettivi piccoli nel locale, unirci per i grandi obiettivi.

- Riprendere spazi di parola, che sempre più si stanno restringendo.

- Fare controinformazione e testimonianza, con continuità.

- Imparare dalle donne dei luoghi difficili.

- Cercare un linguaggio migliore, una comunicazione più efficace verso l'esterno, evitare slogan che ossono apparire vuoti.

- Fare meno cose, ma con più partecipazione e interesse.

- Non sciogliersi in altri gruppi, ma inserirvi il nostro discorso.

- Essere di riferimento soprattutto per le donne.

- Lavorare anche sul linguaggio quotidiano.

- Usare di più gioia, creatività e poesia.

- Realizzare azioni pacifiste spiazzanti.

`


 


 


 

Note:

  1. Questo articolo ed altri apparsi su Il Manifesto del 16 maggio 2010 li potete trovare nella pagina creata da Jane su www.gmail.com dove si trova anche il testo di Mariolina "Mi piacciono i corpi addestrati".
  2. Anche i testi di Donini e la raccolta curata dalle Donne in Nero di Torino si possono trovare nello stesso luogo; il testo dal libro di Colombella non siamo riuscite a trasformarlo in file, inseriamo però una recensione dell'opera che offre senz'altro strumenti utili per la riflessione e per la pratica.

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