11 luglio 1995 – 11 luglio 2010
Perché la memoria di Srebrenica sia fonte di vita
Di quanto è accaduto in tutta la cosiddetta “ex Jugoslavia” a partire dal 1992, non sono responsabili solo i soggetti coinvolti nel conflitto: tutta la comunità internazionale non può lavarsene le mani, infatti nel migliore dei casi ha distolto lo sguardo, fingendo di non vedere, e, quando è intervenuta, si è dimostrata debole, impotente e, in alcune situazioni corresponsabile e complice.
A Srebrenica si è toccato il fondo: i Caschi Blu dell’ONU si sono resi complici del genocidio.
Da allora la nostra fiducia nelle Nazioni Unite, già molto provata, si è gravemente incrinata.
Non c’è pace senza giustizia, non può cominciare una vita nuova se non si è fatta chiarezza sul passato, ciò significa concretamente individuare i responsabili e processarli, non solo chi ha pianificato e commesso materialmente il genocidio, ma anche chi – come l’ONU - è stato a guardare e ha lasciato fare.
Giustizia significa anche permettere ai familiari delle vittime, alle sopravvissute e ai sopravvissuti, di poter affrontare in condizioni dignitose la loro vita, così crudelmente devastata, in un contesto pacificato.
Siamo convinte però che, affinché tragedie come quella di Srebrenica non si verifichino più, nemmeno questo sia sufficiente: è necessario un cambiamento nella struttura dell’ONU, che tolga alle cosiddette grandi potenze le leve del comando, affinché essa possa svolgere un ruolo efficace di interposizione e protezione della popolazione civile.
Noi, responsabili forse allora di non aver gridato abbastanza forte per denunciare e chiedere giustizia, ci siamo fatte carico - e continuiamo a farlo -, di non far cadere il silenzio su Srebrenica e su tutti gli altri massacri che continuano a compiersi in tutto il mondo calpestando i diritti umani e il diritto internazionale; di reclamare che siano accertate le responsabilità, soprattutto delle Nazioni Unite e del nostro governo; di lavorare per dare credibilità alle istituzioni preposte al mantenimento della pace; di farci voce dei familiari delle vittime e delle sopravvissute e dei sopravvissuti nelle loro legittime rivendicazioni.
Perché questa data non sia la celebrazione di un rituale che lascia le cose come stanno, perché l’11 luglio non diventi l’alibi per mettersi a posto la coscienza dimenticando poi, in tutti gli altri giorni, le sofferenze e le ingiustizie che chi è rimasto in vita continua a subire.
A loro, familiari delle vittime, sopravvissute e sopravvissuti, diciamo:
“Perdonate se non sempre abbiamo alzato forte la nostra voce, vogliamo essere al vostro fianco e sostenere le vostre rivendicazioni. Grazie per la vostra tenacia nel proseguire l’impegno per la verità e la giustizia. Non arrendetevi, ma non consacrate la vostra vita al lutto. Vivete anche per chi non c’è più”
Donne in Nero di Padova
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