Come donne in nero di Padova desideriamo condividere informazioni e riflessioni intorno alla guerra.

Crediamo che la guerra mostri oggi la sua totale crudeltà e inutilità.

21 settembre 2011

Ancora dalla Colombia: provocazioni e workshop

PROVOCAZIONI

Giovedì 18 agosto, 1^ sessione

Violenza contro le donne lesbiche - Ria Convento, Belgio e Lulu (Luzviminda Uzuri Carpenter), Stati Uniti

Ria: Questo è il mio 12° Incontro Internazionale di Donne in Nero. Ho 57 anni, e dagli anni ’70 ho fatto parte del movimento delle donne e per la pace. Vengo da una nazione ricca, da una famiglia del ceto medio: non ho mai avuto fame, ho sempre avuto un tetto, ho potuto studiare: ma poiché ero una bambina grassa e mi innamoravo spesso di ragazze, ho dovuto affrontare la discriminazione e l’oppressione. Anche nel movimento delle donne e per la pace c’era la consegna del silenzio: non dire mai che sei lesbica! Può danneggiare il movimento. E c’era anche la sofferenza dei contatti personali: quando sapevano che ero lesbica, facevano un passo indietro. Il movimento mi ha comunque aiutata a riconoscermi come lesbica.
L’omofobia è ancora presente, per questo bisogna parlarne in modo specifico nei convegni. L’ostilità si sente ovunque nella società, le minacce e gli insulti sono molto spesso connotati sessualmente. Tra le Donne in Nero è importante parlare del lesbismo come elemento di lotta contro il patriarcato e il militarismo, e non mettere a tacere le differenze tra le donne. Ricordo con molto piacere il seminario di Gerusalemme sul lesbismo, molto ben organizzato da Hannah Safran. So che il nostro strumento principale è la solidarietà.
Può sembrare che in Belgio, come in altri paesi, l’omofobia non esista perché le leggi danno uguali diritti a gay e lesbiche, ma bisogna mantenere alta l’attenzione, per l’aumento di atteggiamenti di odio e linguaggi aggressivi, come quelli di partiti politici di estrema destra.

Lulu: Mia madre è filippina, sono figlia di un militare e sono cresciuta nelle basi militari. Mia madre è stata stuprata in un abase. Sono attivista in difesa delle donne che hanno subito violenza. Le donne subiscono le maggiori violazioni dei diritti umani, e la violenza sessuale e quella contro le lesbiche è maggiore nelle situazioni di conflitto: in Iraq la campagna di “pulizia sessuale” criminalizza le lesbiche; fenomeno che si verifica anche in Sud Africa, malgrado l’esistenza di leggi contro le discriminazioni.


Violenza e oppressione sessuale - Olga Amparo Sanchez Gomez, Colombia

Noi donne stiamo creando una contro-cultura, con le nostre differenze di classe, di paese, di sessualità pratichiamo una prassi politica per noi stesse. “Provocare” viene dal latino ‘provocar’, incitare, indurre, iniziare, suscitare desiderio sessuale, provocare il riso, fare qualcosa che produce una reazione, per indurre alla riflessione.
Il tema qui è violenza e oppressione. Si sta affermando il concetto di violenza di genere; ma nel parlare di violenza di genere (o violenza domestica) minimizziamo la vittima. E’ un concetto analitico: genere non è sinonimo di donne, dobbiamo parlare di violenza contro le donne, e penso che questa sia una questione seria. Uno dei trucchi del patriarcato è quello di nascondere la violenza contro le donne, trattandola come una questione di salute pubblica, come una malattia: io dico NO, la violenza contro le donne è una questione di DIRITTI. Eppure ancora qualche femminista parla di violenza di genere e ne cerca le cause… così noi de-politicizziamo la violenza contro le donne, che è continuamente presente nelle nostre vite. Questo non significa che tutte le donne abbiano la stessa esperienza, ma che la violenza è una realtà continua nella vita delle donne, che la violenza è il maggior rischio dell’essere donna.
I lavori delle donne sono svalutati. L’oppressione è una faccia dell’ingiustizia sociale, l’impossibilità per un essere umano di realizzare il proprio grande potenziale; dobbiamo allargare questo concetto alle subordinazioni multiple: anche tra noi non c’è omogeneità; a volte possiamo fare alleanze, a volte si creano tensioni.
I corpi delle donne sono stati colonizzati per mezzo di armi simboliche e la nostra sessualità espropriata attraverso la prostituzione forzata, le gravidanze forzate e l’estetica: questo è il motivo per cui i chirurghi plastici sono così ricchi e le donne sono anoressiche.
La violenza sessuale nei conflitti armati riproduce la violenza contro le donne. Gli stereotipi di genere sono rigenerati nella guerra.


Impunità e Tribunali delle donne a livello internazionale – Corinne Kumar, India

Ringrazia tutte le donne presenti all’incontro, che offre cibo al cuore; ringrazia quelle che non sono potute venire; ringrazia le Donne in nero di Londra (e Cynthia, Rebecca, Liz), che la hanno aiutata a essere qui; ringrazia Shima e la Ruta Pacifica per l’attenzione, cura e empatia: il modo in cui ci siamo tenute in relazione in questi giorni è qualcosa di diverso; ringrazia Maria Luisa e Maria del Socorro per una lettera della Ruta Pacifica: sapere il peggio ci dà la libertà di sperare il meglio, e di lavorare per ottenerlo; ringrazia le Mima-hadas che hanno portato un sentimento di meraviglia nella sala: dalla realtà – ogni 14 giorni una donna è uccisa in Colombia – alla fantasia che ci rimette con i piedi per terra, le Mima-hadas ci hanno insegnato che noi siamo le danzatrici, ma siamo anche la danza.
Cibo per il pensiero: ieri Mireya ha detto di ascoltare le voci del Sud che sono state sottomesse e tacitate; lo chiamano Terzo mondo, ma va capito che cosa significano i movimenti dei popoli, la saggezza e le visioni delle donne che trovano nuovi paradigmi. Significa costruire un nuovo linguaggio, negare che ci sia un unico modo ragionevole di capire la realtà, scoprire le conoscenze dei popoli indigeni che non sono “moderni”; rifacendosi a Foucault, afferma che il Sud è una insurrezione di ricordi soggiogati, con la storia e la memoria che creano nuovi percorsi; è una rivoluzione profonda, nuove lezioni per il mondo, un nuovo dialogo tra civilizzazioni, non mediato da una civilizzazione dominante, un nuovo immaginario politico.
Nelle testimonianze così potenti di Ria e di Olga, negli interventi e nelle discussioni, la parola che emerge è violenza. Stiamo vivendo tempi molto violenti, i sogni diventano incubi, le visioni di vita collassano, in un ordine violento che denigra le donne. I nostri ricordi comuni e collettivi stanno morendo, il futuro è sempre più frammentato. La pace americana significa sottomettere il mondo, la guerra al terrorismo conduce a guerre per le risorse e a nuove parole: danni collaterali, attacco preventivo, giornalisti ‘embedded’, droni, rendition… parole fradice di sangue.
La violenza contro le donne non solo sta aumentando, ma si sta intensificando in genocidio-gynocidio; il diritto di essere donna è negato; gli spazi politici dell’altro si chiudono; il mondo è alla fine della sua immaginazione.
Dobbiamo considerare i crimini di guerra – in guerra e in pace – e il riconoscimento del terrore e della violenza di stato. Il vecchio paradigma considera i diritti come diritti dei potenti, mentre va elaborato un concetto di violenza che includa povertà, fame, malnutrizione, militarizzazione… Dobbiamo guardare con occhi di donna le persone marginalizzate, ascoltando le voci di chi non condivide il potere. Con questo Encuentro cominciamo ad articolare una nuova etica della cura e della compassione, un modo diverso di fare politica.
Nel Tribunale Penale Internazionale (TPI) i crimini sono de-storicizzati e de-contestualizzati, li si tratta asetticamente, si parla di povertà e si escludono i poveri. Non c’è posto per l’emozione o il dramma. Occorre costruire un altro concetto di giustizia, usando le testimonianze e le espressioni di resistenza come testo, ma ci vuole un contesto. Il TPI si occupa solo dei piccoli dittatori – non di Bush o di Blair, per i quali la giustizia non arriva mai. Stanno ancora lavorando all’interno dei vecchi paradigmi.
Tra un anno terremo un Tribunale delle Donne in Colombia – contro l’oblio e per l’esistenza. La nostra rivendicazione della verità offre un nuovo paradigma di conoscenza e giustizia, dicendo la verità al potere, parlando alla coscienza del mondo, de-colonizzando le nostre menti e la nostra immaginazione. Non troveremo mai la verità nel patriarcato, occorrono invece parole per abbracciare il mondo, come dicono gli zapatisti.
Gli strumenti del padrone non distruggeranno mai la casa del padrone…



WORKSHOPS 18 AGOSTO, 1^ sessione


Violenza sessuale nel conflitto armato in Colombia. Violenza e oppressione sessuale - Olga Amparo Sanchez Gomez, Colombia

Dopo un’introduzione di Olga Amparo che ha richiamato quanto detto nella pro-vocazione, una donna colombiana ha letto un testo sulla violenza, antica come il patriarcato.
Dareen Khattab: riprende il tema posto nella plenaria circa la sessualizzazione nel contesto della militarizzazione, che deforma anche quella degli uomini. In Palestina, come in Congo o nelle Filippine accade che anche uomini siano vittime di violenza sessuale; domanda perciò che cosa intenda Olga Amparo per violenza sessuale e propone che vengano inclusi gli uomini.
Una donna dalla Spagna: la violenza è presente in tutti gli stadi della vita e in tutti gli strati sociali. Risponde a Dareen che quella degli uomini è un’altra questione e che in ogni caso si tratta di violenza machista.
Olga Amparo: la violenza sessuale contro gli uomini in contesto di guerra è una questione diversa, è un modo di femminilizzarli, è qualitativamente diversa dall’appropriazione del corpo femminile.
Alejandra (Colombia): denuncia le operazioni dei paramilitari e parla del contesto politico e delle responsabilità pubblica e statale.
Donna dalla Colombia: ricorda le donne violate da tutti gli attori armati e le bambine di 11 o 12 anni che vengono messe incinte . Vorrebbe che Olga Amparo elaborasse di più sui temi che ha introdotto, sul simbolico, sulla mentalità che coinvolge anche noi nel militarismo.
Nuria (Colombia): concorda con Alejandra circa la responsabilità della cultura e dei media; si rifà alla lotta femminista per la vita.
Altra donna dalla Colombia: la violenza nel paese esercitata nel contesto del conflitto armato sta coprendo la violenza sessuale nella vita quotidiana; le cifre delle violenze contro ragazze minori di 15 anni o addirittura di 10 sono vergognose e avvengono in casa, da parte dei padri, non degli attori armati. Altissimi i numeri del femminicidio, la polizia li definisce crimini passionali, li giustifica con il fatto che sono ancora più numerosi gli uomini uccisi e li riconduce alla violenza armata nei barrios. Quali possono essere le strategie perché le donne non legittimino queste dinamiche?
Altra donna dalla Colombia: cita fatti degli anni ’80 che hanno portato alla prima proposta di Commissariato di difesa della famiglia, si diceva che sarebbe stato discriminatorio farla parlando delle donne. Adesso narcotraffico, esercito, politici, Farc sono uniti nella mafia del denaro; In un convegno come questo, narcotraffico e corruzione non possono passare senza menzione.
Donna dall’Uruguay: nel suo paese molte donne muoiono, per lo più nelle case, per mano di mariti, amanti; prima non si facevano le denunce perché la polizia è machista, ora è stata approvata la legge sulla violenza domestica; fisica, economica, patrimoniale, sui diritti relativi ai figli. Ancora più importante è l’aver fatto una Commissione delle donne; ci sono équipes multidisciplinari nei comuni per sostenere le donne. Il primo punto è l’autostima, la denuncia è possibile se la donna si sente forte. La violenza viene giustificata come un atto naturale, passionale: no, è femminicidio, assassinio, fa parte del sistema patriarcale. A settembre verrà approvata una legge perché i figli vittime di violenza domestica possano avere sostegno economico per ricevere aiuto psicologico quando compiono 18 anni. Sarà un punto fermo per tutta l’America Latina.
Donna da Antiochia: parla della violenza di non avere accesso alle risorse naturali, all’acqua; quando ci sono megaprogetti che scacciano le persone è una forma di violenza mentale, psicologica.
Olga Amparo: nei paesi in pace o in condizione di conflitto armato, la situazione di oppressione sui corpi delle donne è la stessa. Riafferma quanto ha detto nella sua pro-vocazione: non possiamo avere una posizione essenzialista, occorre un’azione politica contro il militarismo.
Viene preparato un cartellone per la sintesi in plenaria.


Violenze contro le donne lesbiche - Camila Esguerra, Colombia

Si inizia con la lettura di molte brevi testimonianze di violenze contro donne lesbiche in Colombia: uccisione a Medellin di una donna di 35 anni e della sua compagna di 26; lesbiche stuprate da paramilitari “per mostrare loro cosa è una donna”; ragazza di 14 anni accusata di essere lesbica, torturata e uccisa da tre paramilitari; gruppi militari e paramilitari impongono “castighi” fino allo stupro; minacciano, proibiscono certi abiti, a gay e lesbiche….
Camila: la violenza contro le lesbiche non è episodica ma sistematica; le lesbiche sono considerate devianti dalla regola sociale, e per questo punite. Ricordiamo che la violenza sessuale è un delitto contro l’umanità.
Interventi:
Manca il rispetto per la differenza.
Nella vita quotidiana è preoccupante la discriminazione, la violenza psicologica fatta dai vicini o dalla chiesa, la derisione, le burle.
Anche il silenzio su queste notizie serve a negare l’esistenza di gay e lesbiche.
Come femministe è importante assumere la discriminazione nei confronti di LGBT come parte della violazione dei diritti umani, come qualunque esclusione, perché è un fatto politico importante.
Camila: L’eterosessualità obbligatoria è una istituzione oppressiva, ed è un problema di tutte le donne, riguarda come le donne amministrano il proprio corpo. Ogni donna che rifiuta il suo ruolo è tacciata di lesbismo. C’è anche una grande complicità delle autorità, come nel caso della polizia che ha arrestato due ragazze di 17 anni che si davano un bacio. Mostrarsi, uscire in strada è considerata una “provocazione” da tutti gli attori (guerriglia, paramilitari, polizia) armati o no. Anche la famiglia contribuisce a questa oppressione.
Interventi:
In Uruguay c’è una legge che permette il matrimonio di coppie omosessuali, ci sono volute molte lotte per arrivarci: ma la sola legge non è sufficiente.
La Colombia ha situazioni molto diverse da una zona all’altra, ad esempio nelle zone rurali con la presenza di attori armati è tutto molto più difficile.
Le scuole sono tra le istituzioni che di più spingono verso l’assunzione dei ruoli tradizionali, ed espellono ragazze e ragazzi lesbiche/gay.
Forse l’istituzione principale è la chiesa! Non si sa chi sia peggio tra scuola, famiglia, chiesa, stato…
Ci sono anche casi di emigrazione forzata a causa del proprio orientamento sessuale.
In Colombia solo dal 2007 ci sono state attività esplicite su questo problema, e solo a Bogotà; il peso della chiesa e della colonizzazione è ancora molto forte.
Dobbiamo rivalutare i valori della cultura indigena e afro, che hanno tradizioni molto diverse.


Impunità e tribunali delle donne a livello internazionale – Corinne Kumar, India

Ci rispecchiamo nel potere esistente, o esploriamo concetti alternativi di potere; questo ci nutre, ci facilita.
I tribunali delle donne sono una visione alternativa di giustizia. Tutti i responsabili devono essere puniti, ma uno dei percorsi è la vendetta, una linea di morte. C’è un’altra giustizia che ripristini la dignità? La giustizia con la guarigione…
Ci sono stati finora 40 Tribunali delle Donne (dal 1992), ognuno collegato a differenti aspetti di violenza. Altri 5 sono previsti per il prossimo anno: un Tribunale colombiano delle Donne sulla violenza contro le donne, un Tribunale balcanico delle Donne, uno negli USA sulla povertà e senzatetto, un Tribunale africano sul genocidio, e uno previsto per l’Asia.
Il primo Tribunale delle Donne si è tenuto all’Università di Tokyo nel 1992, oltre 2000 donne hanno partecipato. Quando i militari dell’esercito giapponese hanno invaso le Filippine, Taiwan, la Cina e altri paesi, hanno preso oltre 300.000 donne (dai 13 anni in su) per ‘stazioni di conforto’. Dopo la fine della guerra, molte hanno dovuto scavarsi la fossa, e sono state fucilate o bruciate vive. Altre furono messe su autobus, ma non poterono mai tornare a casa. Gli stupri e gli stupri di gruppo furono coperti da un sudario di silenzio fino al 1992. Una donna dopo l’altra raccontarono la propria storia. L’emozione e il trauma furono confermati, nessuno chiese: “E’ successo davvero?”. E lì inizia la guarigione.
E’ così importante per noi creare questi tribunali delle donne. Desmond Tutu ha detto che le donne non parlano mai della violenza fatta a loro stesse al Tribunale per la Verità e la Riconciliazione, solo della violenza fatta a fratelli, figli e mariti. Dal Tribunale di Tokyo delle Donne si sono affermate tre richieste:
1. Riconoscimento del crimine
2. Scuse
3. Riparazione.


CIBO PER IL PENSIERO – PROVOCAZIONE, 2^ sessione


Sviluppi e sfide per le donne in Nord America - Judith Berlowitz, Bay Area, Stati Uniti
Le DiN negli USA hanno iniziato al seguito delle donne bianche del Sud Africa che nel 1970 hanno cominciato le prime vigil contro l’apartheid, delle Madres di Plaza de Mayo, e delle donne che protestavano in Israele contro l’occupazione illegale e immorale della Palestina. Il nostro è un modo di azione di genere, creiamo uno spazio e siamo uno spazio. DiN è un linguaggio. Il colore nero è una metafora, esprime il nostro lutto individuale e collettivo. Il luogo è specifico, ripetuto nello spazio e nel tempo, allo stesso orario. Il silenzio, anche se non sempre si mantiene, conserva una certa dignità: è importante non rispondere quando ci insultano.
Manifestiamo/abbiamo manifestato per la liberazione palestinese e contro l’uso dello stupro come strumento di guerra nei Balcani, alcune guerre, p.e. l’Iraq, la violenza contro le donne.
I nostri obiettivi:
- Educare – informare con cartelli, manine, volantini con temi diversi ogni settimana; se i passanti fanno domande, una DiN è incaricata di parlare con il pubblico.
- Inviare lettere a senatori / membri del Congresso.
Negli USA le DiN sono iniziate a San Francisco nel 1989, poi a New York, Berkeley; dopo l’11 settembre 2001 c’è stato un cambio di focalizzazione, concentrandosi sul rifiuto della vendetta, per la nonviolenza, l’antimilitarismo, contro politiche locali discriminanti sull’immigrazione o contro l’omofobia. Si collabora con gruppi affini.


Sito e comunicazione rete DiN - Yolanda Rouiller, Spagna
Quante donne qui sanno del sito web internazionale delle DiN? E delle liste di posta elettronica (in spagnolo, italiano, francese, inglese, olandese)? Il sito web è stato costruito dopo l’ultima conferenza con finanziamenti provenienti dalle DiN di Belgio, Inghilterra e Olanda, ma i soldi finiranno alla fine di quest’anno. E’ quello di cui abbiamo bisogno? Come possiamo finanziarlo in futuro?
Del sito web e delle liste si è fatto carico un piccolo gruppo (in realtà 3 donne), alcune delle quali ora sono molto stanche. Dovrebbe esserci una rappresentante per la comunicazione di ogni paese: qualcuna vorrebbe rendersi disponibile? Per favore discutete nei gruppi di paesi e fate sapere a Sue o a me.


LAVORI DI GRUPPO 18 AGOSTO, 2^ sessione

Lavori di gruppo, divise per aree regionali, con l’obiettivo di fare il punto sulla situazione attuale delle donne che vivono “dentro” il conflitto armato. Le alternative e le sfide della rete delle Donne in Nero

Europa e Balcani – circa 35 donne (Italia, Spagna, Serbia, Bosnia, UK)
Mireya (Spagna): sono tante le guerre che ci riguardano, Afghanistan, Libia… Non le bastano gli scambi in internet, tanti messaggi ma nessuna decisione e azione comune. In Spagna hanno pensato di inviare una lettera alla Ministra della difesa per uscire subito dall’Afghanistan, fatte salve alcune condizioni sulla popolazione civile.
Marianita: ricorda il documento preparato per l’Encuentro dalle DiN italiane, contro ogni intervento armato, specie se è coinvolto l’esercito del nostro paese. E’ stato elaborato un appello alla società civile e ai movimenti per un ritiro immediato dall’Afghanistan (non c’era ancora la guerra in Libia). C’è poi il discorso delle spese militari in aumento, non solo per gli interventi all’estero ma per l’acquisto di armi, mentre si fanno tagli spaventosi a servizi, istruzione, salute. Tutta la vita è militarizzata, così come il territorio: ordine pubblico nelle città, situazioni come il problema dei rifiuti a Napoli o il terremoto all’Aquila, basi Nato e nord-americane dal Veneto a tutto il Mediterraneo. L’immigrazione si incrocia con la guerra, molti sono profughi di guerra, c’è stato un accordo orrendo del governo italiano con Gheddafi perché non ci fossero partenze dall’Africa e ha prodotto campi di concentramento. Inoltre si crea così un nemico interno come capro espiatorio su cui scaricare i problemi e la politica del governo. Un’altra parola chiave è la “sicurezza”, per cui si debbono militarizzare le città per difenderci dagli immigrati, dagli zingari, dagli omosessuali, da chi è diverso. Le mobilitazioni che abbiamo cercato di fare come DiN per il ritiro dal’Afghanistan sono difficili, il movimento pacifista è in crisi. E’ d’accordo con Mireya: manca un coordinamento europeo e si dovrebbe parlare anche di ciò che si è fatto contro la Nato.
Mariela (Spagna): ha letto il documento, è fantastico, in Spagna non si è fatto altrettanto, non si è discusso abbastanza di militarizzazione e armi. Suggerisce di concentrarci sulle sfide e di trarre delle conclusioni; propone di parlare in plenaria di una mobilitazione a livello europeo e internazionale per il processo negoziato di pace in Colombia; così anche per Palestina e Israele, pronunciandoci sul riconoscimento dello stato palestinese, con un documento da inviare all’Unione europea e a Obama. Infine, c’è un punto specifico sulla violenza contro le donne e le bambine, in situazioni di conflitto armato o no: vivere senza violenza è un diritto.
Mireya: in Spagna ci sono differenti comunità, hanno lavorato sul militarismo a Valencia, non a livello nazionale. Come DiN di Siviglia appoggia l’impegno per la Colombia, ma ci dovevano essere anche donne dall’Afghanistan, dalla Tunisia, dalla Libia e invece non sono potute venire; adesso può arrivare anche il caso della Siria; chiede perciò un impegno come DiN a coordinarci sulla Nato.
Una spagnola le chiede una proposta concreta e un’altra suggerisce di trovare una maniera incisiva per fare pressione perché i governi ritirino le truppe in Afghanistan e in Libia.
Maria Rosaria: va ribadito il no alla Nato come si è fatto nella giornata dello scorso novembre, va ribadito “non in nostro nome” perché la Nato è strumento di aggressione e come DiN siamo comunque contrarie a ciò che fa. Dopo la Libia ci può essere la Siria e come DiN dobbiamo ribadire che siamo contrarie a una politica di interventi rispetto alle rivoluzioni.
Elisa: le fanno maggiore rabbia le donne soldato, come DiN dobbiamo denunciarlo e sensibilizzarle perché ci ripensino.
Marianita: senza contare le violenze cui sono sottoposte nelle caserme.
Mireya: qui possiamo elaborare proposte per la rete europea, ma non ci sono le donne belghe o francesi e vanno coinvolte anche le nord-americane. Sappiamo che non è possibile fermare un intervento, però possiamo creare senso comune, smontando il discorso che usa le donne per giustificare gli interventi. Possiamo fare una lettera aperta ai ministri europei, se si parla di Nato c’entrano anche quelli nord-americani, si può pensare ad un giorno al mese in cui tutte le DiN fanno iniziative alla stessa ora; dobbiamo essere creative.
Anna: c’è stata la proposta di fare un incontro europeo dopo questo convegno internazionale. Abbiamo bisogno di coordinarci di più per fare azioni, qui sono significative le assenze e le differenze. A Strasburgo, sulla Nato, erano presenti molte DiN francesi e tedesche, poi si sono persi i contatti. Ci sono le liste, ma non bastano per lavorare insieme; un incontro europeo ci può dare incisività e continuità. Dovremmo trovare modi più generali e coordinati anche per i contatti con le donne dei Balcani (qui ci sono Marjia e Jadranka), per conoscere ciò che fanno e avere relazioni organizzate.
Marjia: le è difficile parlare, è del tutto d’accordo con Mireya. Hanno connessioni con DiN italiane e spagnole e si ricordano dell’appoggio ricevuto; si tratta di mobilitare il resto dell’Europa, anche le donne dell’Est, con cui loro hanno connessioni. D’accordo sull’impegno per Colombia e Nato. Quelli dell’Est sono gruppi che hanno problemi di autonomia, perché ci sono le pressioni dei donatori e dei governi; è una crisi di autonomia legata alla situazione economica .
Sue: riprende il tema dei tagli economici. Le DiN inglesi saranno d’accordo con quanto si è detto qui; occorre una denuncia chiara del taglio dei servizi pubblici rispetto alle spese militari.
Elisabetta: la crisi crea difficoltà ma anche opportunità, perché la pressione economica può sensibilizzare e indurre alla mobilitazione.
Vengono quindi richiamate le varie proposte fatte; in conclusione abbiamo concordato sui seguenti punti:
- mobilitarci a livello internazionale per la soluzione negoziata del conflitto armato e per il diritto a vivere senza violenza delle donne e delle bambine in Colombia;
- mobilitarci per sostenere il ripristino dei diritti politici per Piedad Cordoba;
- pronunciarci per la fine dell’occupazione israeliana dei territori palestinesi e il riconoscimento dello Stato di Palestina.
- mobilitarci per il ritiro delle truppe dall’Afghanistan e contro l’intervento della NATO in Libia;
- la crisi economica distoglie l’attenzione dalle guerre, rende difficile la vita delle persone povere e i governi tagliano proprio i servizi sociali: dobbiamo mobilitarci contro le spese militari.
E’ stato anche proposto che l’incontro europeo si tenga all’inizio del 2012.

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