Intervento di Nurit Peled El Hanan, ebrea israeliana, Premio
Sacharov del Parlamento Europeo alla sessione conclusiva del Tribunale Russell
sulla Palestina. Bruxelles, 17 Marzo 2013
Vorrei dedicare queste parole al nostro beneamato Stephan
Hessel, che ho conosciuto a Parigi tramite i miei figli Elik e Guy, che lo
ammiravano profondamente e da cui hanno sempre tratto grande ispirazione per la
loro lotta contro l’occupazione della Palestina.
Dedico queste parole anche alla memoria di un ragazzo dell’età
dei miei figli, il martire Mo’ayad Nazeeh Ghazawna (35 anni), deceduto ieri
all’ospedale di Ramallah a causa delle ferite riportate 3 settimane fa dopo
essere stato colpito da una bomboletta di gas lacrimogeno lanciata dalle forze
di occupazione israeliane.
E dedico queste parole anche a tutti i figli di
madri palestinesi che vengono uccisi, mutilati e torturati nello stesso momento
in cui sto parlando, che vengono rapiti dai loro letti nel cuore della notte e
gettati in celle di isolamento, strappati ai loro genitori e alle loro
famiglie, interrogati nelle condizioni più crudeli, traumatizzati a vita,
soltanto per aver lanciato delle pietre, aver attraversato una strada riservata
agli ebrei, o essere entrati nel loro villaggio, al ritorno da scuola, passando
per un buco nella barriera di “sicurezza”.
Questi ragazzi e i loro genitori non
hanno il diritto di essere uditi da nessuna corte e da nessun tribunale al
mondo. La loro testimonianza non ha alcuna validità nel sistema giudiziario
occidentale e la loro sentenza è già formulata: sono criminali, per il semplice
fatto di essere Palestinesi. E questo basta per far sentire i loro oppressori
in diritto di trattarli come esseri a cui “sono negati con forza ogni status
sociale o giuridico, e le cui vite possono essere distrutte impunemente”.
Questi ragazzi e i loro genitori, che protestano ogni venerdì
contro il muro di apartheid e gli insediamenti a Nabi Saleh, Qaddum, Masaara,
Nilin, Bilin e Bet Umar (solo per nominare alcuni villaggi), le cui case
vengono demolite con scuse derivanti da quello che il sociologo Stanely Cohen
definiva il “kitsch sionista”, sono riusciti ad avere, forse per la primissima
volta, un’udienza al Tribunale Russell sulla Palestina.
I palestinesi non sono autorizzati a lasciare le loro case nemmeno
per recarsi al villaggio più vicino e visitare i loro parenti, tanto meno per
venire a Bruxelles. Ma noi, che invece abbiamo questo privilegio, dobbiamo
essere i loro messaggeri. Non possiamo permetterci, come ripeteva Stephan, di
dirci esasperati, perchè l’esasperazione è la negazione della speranza, mentre
noi, che possiamo parlare e abbiamo il privilegio di essere ascoltati, dobbiamo
dare speranza a coloro che non ne hanno.
(…) Israele è riuscita a spacciarsi per una democrazia; in
realtà, come ha dichiarato il Tribunale, si tratta di uno Stato di apartheid,
che priva dei beni di base come l’acqua in estate metà della sua popolazione
dominata.
Israele ha raggiunto un livello di malvagità inimmaginabile.
E molte persone in tutto il mondo fanno fatica a credere che sia così.
Stepahne Hessel è stato chiarissimo a tal riguardo, e per questo
motivo un altro compagno militante, Michel Warschaeski, l’ha descritto così:
“Stepahne Hessel non è stato solo la coscienza del XX. secolo, ma la coscienza
ebraica in tutto ciò che essa ha di migliore”.
Il Tribunale Russel ha dimostrato, e auspico che continui a
dimostrare, la convinzione di Stephane secondo cui l’atteggiamento peggiore di
fronte all’ingiustizia è quello dell’indifferenza. O del diniego. Davanti al
male, le uniche risposte possibili sono l’indignazione e l’impegno. E per
questo motivo voglio ringraziare di cuore tutti voi che vi adoperate in questo
lavoro.
È molto importante per noi, quaggiù, sapere che ci sono persone in
tante parti del mondo che saranno con noi finché il muro non verrà abbattuto e
finché la giustizia non prevarrà.
Assopace, Traduzione
Diletta Pinochi e Luisa Morgantini
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