8 marzo con le donne afgane
Come vivono le donne afgane dopo 10 anni di una guerra dichiarata per portare la democrazia e migliorare la condizione delle donne
Il governo Karzai, dopo aver reintrodotto il tristemente noto “Ministero per il Vizio e Virtù”, dopo aver firmato una legge secondo la quale le donne non possono rifiutarsi di avere rapporti sessuali con il marito e non possono recarsi al lavoro, dal medico o a scuola senza il suo permesso, sta ora emanando una legge secondo la quale:
le case rifugio per donne maltrattate passeranno dalla gestione delle ong afghane al controllo del Ministero degli Affari Femminili;
alcuni rifugi verranno chiusi;
per andare ai rifugi le donne dovranno essere accompagnate da un parente maschio o dal marito;
all’interno dei rifugi l’insegnamento della religione islamica sarà obbligatorio;
le donne accolte nei rifugi saranno obbligate e sottoporsi a costanti “esami medici” per il monitoraggio della loro attività sessuale;
lo staff del rifugio dovrà consegnare la donna alla famiglia che ne richieda il ritorno a casa per qualsiasi motivo.
Già da tempo i rifugi delle donne maltrattate erano oggetti di minacce. Per esempio, una ragazza dodicenne della regione di Herat ha chiesto di essere accolta in un rifugio, ma il governo, su pressione di un parlamentare, ha fatto restituire la ragazza alla famiglia che l’ha poi uccisa e fatta a pezzi; a Takhar una donna grida inutilmente per chiedere giustizia nei confronti del nipote di un parlamentare che ha rapito, tenuto sequestrata e poi ucciso sua figlia e questo per il governo afghano è considerato normale.
Ora i rifugi delle donne maltrattate dovrebbero passare sotto il controllo diretto del governo, uno dei più corrotti al mondo! Ed è proprio sul corpo delle donne che il governo Karzai intende realizzare mediazioni con fondamentalisti e talebani.
E di tutto ciò anche l’Italia ha diretta responsabilità. Oltre a partecipare da 10 anni a una guerra che ha portato con i bombardamenti la morte di circa 40.000 civili, l’Italia in Afghanistan ha il compito specifico di riorganizzare la giustizia, progetto in cui tra il 2001 e il 2011 ha investito centinaia di milioni di euro. Il governo italiano e le forze politiche che hanno sostenuto e ancora sostengono l’intervento militare in Afghanistan dovranno spiegare in che modo sono stati investiti i fondi per la ricostruzione del sistema giudiziario afghano, giacché negli ultimi anni sono state varate leggi che penalizzano pesantemente i diritti umani e, in particolare, i diritti delle donne afghane.
Oggi 8 marzo esprimiamo la nostra vicinanza a Zoya, a Mehooda, a Malalai Ioya, a tutte le altre attiviste afghane per i diritti delle donne e a tutte le donne afghane.
Insieme a loro chiediamo la fine dell’occupazione e il ritiro di tutte le truppe straniere.
Donne in Nero
Padova 8 marzo 2011
http://controlaguerra.blogspot.com
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